SULLA COSIDDETTA OMOSESSUALITA'
L’eterosessualità non esiste; esiste un comportamento eterosessuale.
La triangolazione edipica è una favola freudiana funzionale all’ordine borghese. Quando Edipo possiede la madre dopo aver ucciso il padre si acceca; chi supera il complesso edipico, secondo la teoria freudiana raggiungerebbe lo sviluppo armonico dell’io, secondo il mito greco dal quale è stata tratta questa favola egli diventa cieco di sua volontà. La mutilazione non riguarda solo l’organo oculare, ma il fallo stesso, perché è castrante. Il fallo eterosessuale dell’io equilibrato sarà per sempre iscritto nel registro della vagina e legato ad essa nel binomio finalizzato alla procreazione. Freud è un prete sotto la barba di padre della psicoanalisi e i suoi allievi psicoanalisti non fanno altro che decostruire il tuo inconscio per inserirlo nella classica triangolazione sulla quale è costruita la loro teoria; questa contrattazione che mercifica l’anima viene regolata dal denaro, con il quale paghi la tua castrazione. Sarai assolto una volta che avrai pagato il tuo inserimento nella società borghese. Forse. Perché in fondo l’analisi è interminabile. Il prete ti assolveva gratis e in più ti garantiva il valore aggiunto del Paradiso, senza imposte monetarizzabili, giacché rinunciare al peccato è sì un costo, ma viene ammortizzato dalla tua spiritualità, secondo una scelta e non secondo il vile denaro.
Il lessico della sessualità non è innocente: esso è strutturato secondo un ordine preciso che distribuisce i ruoli in forme fossilizzate stabilendo una norma rispetto alla quale tutto il resto è devianza. Cioè perversione. Tutti i problemi psicologici legati alla sessualità hanno origine in questa distribuzione precostituita e al processo di identificazione che ne scaturisce. Ne sono vittima tanto gli etero quanto gli omo. Un uomo o una donna eterosessuali che si identificano con la loro sessualità si definiranno eterosessuali, viceversa un uomo e una donna che si identificano con la loro omosessualità si definiranno omosessuali. Entrambe le coppie sono sotto effetto di castrazione, perché hanno incanalato i loro flussi desideranti in un ruolo prestabilito.
Ne consegue che: la cosiddetta presa di consapevolezza della propria omosessualità è un auto-castrazione, credi di esserti liberato, ma in realtà ti sei incatenato ad un ruolo; il cosiddetto coming out è in realtà un coming in che ti ha declinato per sempre nella morfologia della sessualità borghese. D’ora in poi sarai un omosessuale e questa identificazione sarà utile a incasellarti in un ordine dove la falsa tolleranza indorerà il ghetto che ha preparato per te. Tanto è vero che l’esito dell’emancipazione di quelli che orgogliosamente si definiscono gay (=felici per cosa? ma per la loro castrazione, novelli convertiti inconsapevolmente al ferale culto di Attis) è l’istituzione matrimoniale dell’altra coppia di castrati, quella eterosessuale. Tanti gay pride, battaglie e rivendicazioni per raggiungere lo status di maritino e di mogliettina, e cioè ancora una volta, papà e mammà.
Da qui la grande sciagura dei nostri tempi: la femminilizzazione della mascolinità; coloro che si identificano con il loro comportamento omosessuale hanno bisogno di assumere un ruolo passivo, femminile, perché il loro desiderio venga riconosciuto dal maschio vero, proiezione della identità alla quale hanno rinunciato, che non attireranno mai perché questi non si riconoscerà nell’animus femminile di un corpo maschile, e preferiranno sempre l’originale rispetto al simulacro dotato di fallo. A meno che non abbiano rifiutato il corpo femminile e ricerchino espressamente proprio quello che questo corpo non può dare loro, cioè il fallo: il classico omosessuale, non “represso”, come comunemente si dice, ma in fase trans: vuole il fallo ma non lo accetta dal corpo maschile, perché egli si è legato alla sua identità maschile in maniera imperfetta, ma definitiva ed è semi-edipizzato: tanto è vero che può trovare soddisfazione solo nel rapporto con i travestiti, che ostentano meraviglia quando il rude padre di famiglia si mostra incuriosito soprattutto per quello che hanno fra le gambe. E quelli che si prostituiscono lo sanno bene, sicché per non perdere i clienti rinunciano all’operazione. E questi clienti sono in realtà i veri transessuali, nella prospettiva del desiderio, anche se sposati e con figli.
Per quanto riguarda i restanti omosessuali sedicenti attivi o quelli che non accettano l’identificazione passiva esclusiva, il loro ruolo attivo sarà comunque esercitato in un simulacro di femminilità: il loro fallo resterà un clitoride sterile e la loro personalità sarà uterina, ma meno marcata di chi si è identificato con il ruolo passivo. Sfumature che cito per precisione d’analisi. Basta osservare una comune coppia gay per verificarla (a patto che uno dei componenti non sia una marchetta, allora il discorso è diverso).
Ora, se seguiamo sottotraccia Lacan, e creiamo una schize nel discorso freudiano dirottandolo sulla presenza o l’assenza dell’”oggetto a”, la liberazione sarà comunque una castrazione, perché sarà la rinuncia al flusso desiderante che conseguirà alla decostruzione del fallo e alla sua designificazione.
Come viceversa sarà castrante l’ipersignificazione del fallo per colui che ha creduto di trovare la sua liberazione nella “piena accettazione della propria omosessualità” (frase che non significa nulla, perché l’omosessualità non è una condizione, ma un comportamento): egli avrà rinunciato comunque ad un fallo, il suo, e non troverà mai il fallo che possa sostituirlo. Da qui l’ansia e la perenne insoddisfazione di molti gay. La loro impossibile ricerca della felicità. La loro deriva in una femminilità posticcia e consolatoria di vecchia zitella che avrà vissuto pure i suoi momenti di gloria nella sua gioventù, ma che ormai non conosce più l’amore.
Ecco perché i bisessuali sono guardati sempre con sospetto: gli omosessuali li affiliano automaticamente alla loro confraternita perché li ritengono gay ancora a metà del guado, gay che non si sono accettati completamente, mentre in realtà sono liberi perché non hanno incanalato i loro flussi desideranti nella grammatica del sistema. Gli eterosessuali invece pensano che siano persone in fondo normali, perché pur avendo un comportamento deviante sono in grado di penetrare una donna, che è la cosa fondamentale per il mito della procreazione che essi hanno. Tuttavia non li ritengono maschi al cento per cento, secondo sfumature che variano a seconda del luogo o del periodo storico. Inconsciamente ne sono attratti, perché capaci di godere del fallo senza rinunciare al proprio, aspirazione segreta di ogni uomo.
Mi sembra chiaro che in base a queste considerazioni, il coming out è una piaga per la comunità omosessuale, è un auto-ghettizzazione tra l’altro funzionale al sistema capitalistico alla ricerca continua di target per le merci che deve vendere: più un target ha una identità precisa, più è facile trasformarlo in un segmento di mercato. E fare pressioni perché qualcuno faccia il coming out è una vera e propria violenza, è un trapianto d’identità sul quale non si può giocare con le argomentazioni della necessità della visibilità, della sincerità, dell’accettazione di sé: ne va della perdita del fallo.
Il sé è complesso, è questo e contemporaneamente è altro e chi si dichiara omosessuale tout court non afferma il suo sé autentico, ma solo quella parte che ritiene possa essere utile al suo inserimento in una comunità. Infine battersi per il matrimonio dei gay mi sembra veramente la deriva assoluta del movimento: parodia blasfema di un mito piccolo-borghese, riconoscimento definitivo della propria inferiorità sociale, omologazione totale ai modelli imposti dalla società. Il riconoscimento dei diritti dei conviventi si affrontano sul piano del codice civile, non con la parodia di un’istituzione che ha tutti altri fini. Non escludo la sacralità di un unione tra due persone dello stesso sesso, ma 1) non vedo come potrebbe sancirla una Chiesa che pone ancora la “sodomia” tra i peccati capitali 2) perché deve essere lo scimmiottamento di un rito eterosessuale e non la creazione ex-novo di un nuovo rito per una nuova religione.
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