L'AMMIRAGLIA RINNOVA LA GLORIOSA DIVISA: MAGICO WEEK END BEGIN NEL PALINSESTO DI RAI 1
Bella intervista post-prandiale dell’Annunziata a Romiti su Rai 3 (In ½ H, ore 14.30) sulla scia di quella fatta a Briatore domenica scorsa. Ecco un esempio di televisione intelligente e non superficiale con cui è possibile arricchire la solita domenica dell’effimero e degli schiacciapensieri per housewivers poco disperate e gentili consorti pennichellanti. Si discute di banche, telecom, tfr, mentre le mani del piccolo vegliardo (è ancora 70enne) danzano lievemente nell’aria la rugosità del potere vero, che ha sempre qualcosa di arboreo, ricorda in qualche modo la corteccia di una quercia. Al centro dell’agenda dell’impertinente, antipatica (com’ è giusto che sia) e sempre femmina Lucia Annunziata è il riassetto del capitalismo italiano (adoro quando il lessico marxista osa ancora fare capolino nella politica italiana, con la sua political uncorrectness). Ovvero: chi comanda oggi in Italia? Non abbiamo capito se sia Bazoli, capo di questa nuova megabanca italianissima, ad essere più potente di Romiti o viceversa, ma sono dettagli. Si capiscono la storia e la cronaca italiana solo se teniamo sempre davanti agli occhi la massima del principe di Metternich: l’Italia è un’espressione geografica; come in un demi-monde qualsiasi comanda l’alta borghesia corrotta dagli stranieri di ceppo celtico, in più noi abbiamo il valore aggiunto (o tolto a seconda delle prospettive) di Santa Romana Chiesa…
Sottotesto l’intervista dipana uno scontro socio-gender tra Romiti, il potente borghese espressione di una società maschilista patriarcale e nordica; e l’Annunziata, la donna radical-chic, anch’essa potente, post-femminista e post-comunista, e in più sudica, che non dimentica mai il colore del suo cuore. In questo sottotesto le mani, la voce, la calata di Cesare rappresentano il nome del Padre, mentre Lucia Annunziata è la figlia discola che cerca di arrampicarsi pazientemente sull’albero che ha salde radici nel parco di famiglia rischiando di farsi male, ma lasciando i segni delle sue unghiette sulla corteccia rugosa.
Ma il grande week end begin (ovvero lo spazio del palinsesto che comprende le ultime ore di un giorno e le prime ore del successivo, il cui baricentro è la mezzanotte) su Rai1 è nella notte tra domenica e lunedì.
Sorvolando su “Capri”(Rai 1, 21.15 regia di E. Oldoini) di cui abbiamo seguito solo gli sprazzi sufficienti a percepire il mood gay-eye winkly molto sobrio della Ammiraglia (l’ambientazione circumnapoletana era un must per questo scopo, e dobbiamo sperare o no che questo gay-eye winkly per quanto sobrio rientri tra i sintomi dell’evoluzione della mentalità catto-comunista italiota?) la serata vera si apre con la lunga intervista a Gianna Nannini, straordinario ritratto di rock-star e di donna italiana post-moderna. Location spacciosa quella dell’aereoporto, con le turiste inglesi frettille che fanno le loro acide smorfie mentre gli operatori effettuano le riprese sul tapis-roulant impedendo loro di passare. Gustosissimo l’understatement istintivo di Gianna tutta witch, che si appresta a diventare forse la più grande icona gay italiana (è ancora giovane, dopotutto e continua a sorprendere). Piccoli deragliamenti vocalici, doppi e tripli sensi naturali costruiscono sottotesti i quali arricchiscono un’esperienza che non può essere ridotta nei limiti banali della classica intervista. Gianna parla, canta, sorride, ammicca, fa le linguacce, si racconta; vita, arte e sofferenza si mescolano in un ulteriore tranche de vie in forma di dialogo di questa nomade meta-gender. Crediamo che in un contesto fondamentalmente omofobico e patriarcale qual è quello della cultura italiana, triplamente territorializzata dall’imperium catto-comunista, da quello francese e da quello angloamericano (Risi dirà più tardi a Marzullo che la nostra critica cinematografica è sempre gregaria dei cugini d’oltralpe, vendicandosi del non adeguato riconoscimento iniziale del suo “I soliti ignoti” che fu scoperto dai francesi) il contributo che ha dato Gianna alla musica leggera e soprattutto al costume italiano sia stato riconosciuto con molto ritardo, e forse questa intervista è il sintomo di una rielaborazione della meccanica desiderante nel mondo dello spettacolo italiano, senz’altro di una sua modernizzazione. Questa ragazza ha girato un video con Antonioni e le sue canzoni trasgressive con le fughe in avanti rispetto alla società contemporanea (la trasgressione sposta sempre più avanti il limite del socius) riascoltate dopo anni non perdono la loro freschezza. Gianna è una Janis Joplin italiana, e non solo perché improvvisa in un aeroporto “Mercedes benz” della grande Pearl senza accompagnamento (altro che lounge) ma perché del rock interpreta l’essenza, con la sua voce roca, il senso bacchico del ritmo, la melodia tutta italiana venata sempre di un po’ di blues e i suoi testi che farebbero non arrossire ma morire di vergogna le mamme di cui parlava Eco a proposito di Pitigrilli. Inni alla manostuprazione femminile, il gender preso in giro come concetto, il maschile e il femminile che si riuniscono in un’utopia che per adesso è solo quella dell’arte leggera e si dividono nuovamente in derive inconciliabili. E poi una che ha l’idea di mettere sulla copertina di un suo disco la statua della libertà con un vibratore in mano…sfottò dell’America guerrafondaia e delle sue ridicole e ipocrite icone ancora attualissimo e allo stesso tempo rivendicazione dell’altro godimento, il godimento femminile non finalizzato alla procreazione il quale non può essere definito onanistico come quello maschile perché non implica lo spargimento del seme, ma il sostituto del fallo con un simulacro di plastica. Il pacifismo di matrice cristiana (anche quando è di sinistra) si fonde con il concetto di libertà del corpo femminile, che diventa il corpo della strega, in una faglia beante dalla quale prepotente emerge la voce della Nannini che grida l’America della quale siamo sudditi ribelli. La musica genuinamente italiana ha sempre un suo coté popolare e popolaresco e Gianna ce lo conferma raccontandoci dei suoi esordi, del rapporto fondamentale che ha avuto con le zie e in particolare con Renato Zero (esempio di famiglia allargata post-moderna in anticipo sui tempi?) e con le sua zie che pure ha fortissime radici popolari nel suo genoma d’artista. Ma la bellezza di questa intervista, che è senz’altro un pezzo di storia della televisione italiana, è stato il fatto che ha lasciato trasparire il rapporto tra creatività artistica e follia, tra psicosi e sublimazione artistica, bucando davvero lo schermo. Il “buco nero” di Gianna in una fantatopologia tipica del medium buca davvero lo schermo: è il buco della sua arte, la faglia beante che al prezzo terribile del delirio permette la trasformazione del proprio vissuto in un qualcosa godibile dall’altro da sé…e se questa non è arte! Non sarà grande arte per i classicisti (Dino Risi con la civetteria del Grande Vecchio dirà più tardi che in fondo il cinema è artigianato rispetto alla letteratura, alla danza, all’architettura etc.) ma per noi postmoderni che ci siamo liberati dalla dipendenza dalle Grandi Narrazioni lo è e non importa se e quanto durerà nella storia, è sufficiente che sia viva nello spazio della nostra memoria.
Un giorno le canzoni italiane saranno il reservoir della poesia italiana contemporanea, e non parlo di quelle dei cantautori che già compaiono nelle antologie…
Che notte questa notte dell’Ammiraglia…la vecchia signora si mette i guanti e recupera dai cassetti polverosi i suoi preziosi camei, regalandoci quasi gratis una televisione che Berlusconi non potrà mai vendere, nemmeno con i saldi. Clip e spezzoni di filmati televisivi e cinematografici si rimandano l’uno all’altro, cronaca, costume e storia dell’effimero si fondono in un tutt’unico (tra parentesi vorremmo indire un censimento sulle streghe in Italia, ovvero quelle donne indipendenti, di successo e con il pelo sulle ovaie che fanno il loro bello e cattivo tempo nella società dello spettacolo…ieri sono andate in visibilità diverse esponenti di questa lobby(?), come a traino della Nannini). Storia della televisione resteranno i duetti della senese con Fiorello che deve rincorrerla per lo studio più pazza di lui, il duetto con Celentano molto nazional-popolare, come resterà il videoclip girato da Antonioni per una sua canzone. Probabilmente la terrotorializzazione teutonica (la rock singer ha interpretato anche Brecht, si è visto pure questo) ha salvato Gianna Nannini dalla deriva anglofila, insieme alle sue radici popolari.
Dopo l’intervista alla Nannini, la trasmissione di Marzullo sul cinema con grande presenza di film italiani. Roma si appresta a sostituire Venezia come location degli eventi cinematografici e del loro indotto sulla piazza italiana, grazie alla sua genuinità people –friendly e alle sue attitudini mediterranee, rispetto alla spocchiosa e in fondo troppo territorializzata Venezia. Belle le piccole clip su Tornatore che parla de “La sconosciuta” e su Marcoré il quale stasera e domani interpreterà nientepopodimeno che un papa (Paolo VI) e che parla del suo personaggio e del proprio rapporto con la religione cattolica lanciando sguardi demonici che giustificheranno l’invettiva di Dino Risi più tardi: gli attori hanno qualcosa di luciferino, dirà il Grande Vecchio, ricordandoci che un tempo non potevano essere sepolti in città…Marcorè si appresta a diventare un attore importante, soprattutto se nel suo processo di laicizzazione non estirperà completamente le sue radici cristiano-mediterranee ma le nutrirà di nuova linfa. E a proposito: che vergogna che sia stata la Spagna di Zapatero ha creare questo film sui Borgia e sul papa “corrotto” che espresse la loro famiglia nel Rinascimento, Alessandro VI, (Los Borgia, interpretato da Luis Homar l’attore de “La mala educacion di Almodovar) che dovrebbe arrivare qui in primavera: rubano la nostra storia ricca di spunti per opere d’arte o di artigianato, e ce la vendono pure: siamo forse destinati ad essere territorializzati nel cinema anche dagli Iberici, dopo la grande territorializzazione americana?)
E passiamo ora decisamente alla lunga intervista che il grande Dino Risi ha concesso a Gigi Marzullo (“Così è la mia vita…sottovoce”, ore 2.20); l’ ultranovantenne lucidissimo con gli occhi di un bambino, può permettersi di esporre il proprio simulacro di fascista impenitente e guerrafondaio col sorriso sulle labbra, librandosi in volo come una colomba sugli scontri viperini che hanno contrapposto giorni fa una Mussolini a uno Sgarbi. Più di 60 film che costituiscono la sua vera famiglia, uomo affascinantissimo nonostante l’età avnzatissima, egli ci appare come il Maschio sublime, che al di là dell’anagrafe impone il suo gender come un’icona di segno contrario ma ugualmente affascinante. Smilzo come un anacoreta, la bellezza della sua facies sempre più scarnificata è tutta in quegli occhi straordinari, in quegli occhi veramente da infante (la Nannini non a caso aveva detto che dopo la sua rinascita ha dovuto reimparare a camminare e muoversi gattoni come fanno i bimbi) che sono il segno della sua specialità e uno dei segreti, forse il più importante, della sua lunga vita. E qui, cosa straordinaria, non stiamo parlando del solito longevo semianalfabeta, ma di un Maestro che ha fatto la storia del cinema. Gigi estasiato dal carisma del grande vegliardo confessa di invidiarlo, sembra che non sieda su una sedia ma su un divano, tanta è l’inclinazione del suo corpo che si piega come un giunco di fronte al vento che spira da questa vetusta macchina desiderante ancora funzionante, da quest’uomo straordinario, quasi fosse un bambino che aspetti il Padre che gli racconti l’ultima favola prima di addormentarsi. Dino Risi ha la capacità (e se non l’ha lui) di stanare l’ingenuità snobistica del giornalista, affascinandoci persino quando parla delle velleità colionalistiche dell’Italia di Mussolini. Un Maestro e soprattutto un grande Italiano, sul cui corpo ascetico le territorializzazzioni scivolano via senza attecchire. E’ questa la televisione che ci piace, ma sfortunatamente siano costretti ad auspicare criticamente un riassetto del palinsesto perché non è giusto e non è comodo che programmi simili costringano a veglie notturne, ora che l’evoluzione dei supporti e le trasmissioni satellitari rendono sempre più difficili le registrazioni. Questa è grande televisione, questi sono i grandi italiani e le grandi italiane Ci piacerebbe che Rai 1 dedicasse interviste di questo genere anche a personaggi del mondo della moda, come Armani, Valentino, e in particolare Dolce & Gabbana (i due siciliani amici d’infanzia e gay che hanno conquistato il mondo) e a tutti coloro che hanno fatto grande il nome del nostro paese all’estero, che ha conservato un suo specifico ormai solo nello stile (il che non è poco: ma per un paese delle nostre tradizioni è una nuova arte che dovrebbe imporsi a livello mondiale, e non un suo derivato, al di là di ogni facile celebrazione dell’apporto che ha dato e dà il comparto moda alla nostra economia, per altro riconosciuto da congrue gratificazioni) La notte magica di Rai1 non è finita con questa splendida intervista ma è continuata con la trasmissione di un film inglese divertente e sofisticato, la cui tematica è il conflitto inter-gender in rapporto all’ istituzione del matrimonio in una New York schizofrenica della metà degli anni 60 dove i conflitti di genere, quelli razziali e quelli di classe vengono trattati con una leggerezza forse per qualcuno insostenibile ideologicamente, ma davvero piacevole allo sguardo.
Si tratta di “Come uccidere vostra moglie” (USA, commedia, 1965) con un Jack Lemmon all’apice della sua virilità e una Virna Lisi la cui prorompente italianità va sopra le righe del parlato neogreco cui la costringe la parte. Il newyorkese ricco, servito e riverito il cui hobby è disegnare fumetti che lui stesso interpreta per primo nella realtà, sposa in stato di ubriachezza un’oriunda greca. Dopo aver perso per questo il suo cameriere e aver subito una serie di vicissitudini conseguenze di un matrimonio che lucido non avrebbe mai contratto, decide di sbarazzarsene servendosi di un’impastatrice di cemento che adoperano gli edili nei pressi della sua magione. Spaccato pungente dell’alta società new yorkese e dei rapporti tra due sessi, restano memorabili l’entrata della Lisi nel club per soli uomini allo scopo di recuperare il marito e la scena del processo in cui Lemmon, imputato dell’omicidio della moglie di origini greche si trasforma in pubblico ministero convincendo l’avvocato e la giuria dell’opportunità di lasciar scomparire le proprie mogli premendo un metaforico pulsante. Molto gay-eye winkly, conclude degnamente e a tono la notte di Rai 1, che si appresta finalmente ad esprimere su linee più avanzate il cambiamento dei costumi nella società italiana nell’epoca della globalizzazzione, come una madre saggia e costumata che accompagna i suoi figli in una passeggiata urbana sempre più lontana dall’ombra della chiesa certa che ormai questa sia stata sufficientemente introiettata nel loro genoma (oltre alla tv e ai film gay-eye winkly, ovvero quegli spettacoli che sublimano l’apertura verso il gusto omofilico, con tutte queste scene di maschile tendresse sempre triangolate in un Edipo funzionante e servile agli interessi borghesi, vi è anche un’emergenza sempre più evidente del gender femminile, e una Nannini parlando dei suoi aborti, osa enunciare nella notte di streghe di questa straordinaria Rai 1, che lei li definisce i suoi “nannini” e non i suoi “bambini” (mai nati). La tradizionale casalinga rassegnata italiota verrà scalzata da queste terribili witch, o una rivoluzione del gusto patriarcale forcodificherà questa nuove figure di donne in un gender a parte? E quale sarà l’evoluzione della chiesa in tutto questo? All’attivismo dei gblt l’ardua sentenza. Senza dimenticare che oggi lo spettacolo è politica e la politica è spettacolo e la meccanica desiderante controlla il corpo, e quindi fa bio-politica, controllando innanzitutto il desiderio.
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