FONDAMENTI DI NEOESTETICA
Prologo
Guaticchiando qualche sera fa in tv un film dei Vanzina (uno della serie infinita dedicata alle vacanze, questa volta la location era l’India) ho avuto la conferma del mio pregiudizio riguardo questo sottogenere (ovvero subgenere di incerto colore del genere della commedia all’italiota, figlia bastarda della vecchia commedia all’italiana), pregiudizio che mi ha sempre impedito di andare al cinema a vedere queste pellicole man mano che uscivano. Non si tratta di quella forma mentis che induce istintivamente al disgusto per il trash piccolo-borghese o pseudo-borghese. Si tratta del fatto che è pornografia astratta, pornografia senza referente erotico: il meretricio è quello di una volgarità di uno stile di vita spacciato per modernità; non è la mancanza di gusto della volgarità delle battute da avanspettacolo (che possono avere un senso nell’avanspettacolo o in tras avanzate in cui si gioca con il mix dei codici alto-basso, tipo Markette) ma è la volgarità presentata come stile di una determinata classe sociale. Forse il generone non è così come viene presentato in questi film o forse è peggio, ma la volgarità in formato de luxe è autentica pornografia: è lecita la mimesi della realtà, ma occorre un minimo di coscienza critica, non si può impunemente rappresentare il marcio in una confezione accattivante per il pubblico. Perché ciò produce catalisi e non catarsi, non purificazione delle passioni ma giustificazione e esaltazione di un sentire che non è più lecito nemmeno definire passione, ma imbarbarimento, regressione e martirio del gusto. È la distanza intellettuale da ciò che viene rappresentato che permette anche al più crudo dei realismi di aspirare all’artisticità.
Nel caso del sottogenere vanziniano è come se il peggio della tv venisse cinematografizzato e farcito di quella libertà che al piccolo schermo non è consentita perché troppo pervasivo e fruibile potenzialmente da individui di ogni età e status . Con ciò non si vuole moralisticamente concludere che bisognerebbe censurare questo sottogenere come la vera pornografia, semplicemente si vuole offrire un exemplum a quella facoltà di discriminazione che è una delle componenti fondamentali del gusto e della capacità di muoversi agilmente nel campo della neoestetica. Per questa facoltà ho creato la categoria neoestetica di "garbage". Ora spiegherò che cos’è la neoestetica e vi condurrò con nuovi strumenti in un piccolo viaggio nei mondi del trash e del kitsch.
LA NEOESTETICA, IL TRASH, IL KITSCH E MOLTO ALTRO
La neoestetica è quel settore dell’estetica che si occupa del trash/thrash, del pecoreccio, del kitsch, del cult e del camp.
Qui non ci si interessa del rapporto tra neoestetica ed estetica tradizionale; non addurremo argomentazioni filosofiche per dimostrare le non più attuali discriminazioni alto/basso, colto/volgare etc., compito che ci si riserva per un trattatello di maggior respiro. Ci limiteremo a spiegare l’uso di alcuni termini, ormai nemmeno tanto up to date, e a introdurne altri nuovi. La neoestetica è lo strumento intellettuale privilegiato che permette di esercitare la critica della società attuale o società dello spettacolo (Debord): si tratta solo di definire alcuni punti per utilizzare al meglio questo strumento. Anche ignorando il preambolo filosofico e la serie di riflessioni che hanno permesso la fondazione di questo settore dell’estetica, non sarà difficile capire che cosa si intende precisamente dire quando si parla di trash a proposito della neotelevisione o di gusto camp; o quando si usano neosemantismi come garbage o filthy, la cui spiegazione non troverete in nessun manuale e in nessun sito se non in questo, perché è qui che sono stati inventati e che vengono usati per la prima volta.
TRASH letteralmente significa spazzatura; è un termine originariamente spregiativo, con valore classista, usato in seguito in senso denigratorio per stigmatizzare le spinte culturali dal basso; oggi designa il gusto estetico dell’individuo-massa, ovvero dello spettatore-tipo del medium televisione e dei prodotti a lui dedicati. Ha conservato una connotazione negativa quanto la sua designazione, per quanto il termine sia stato culturalmente riabilitato dalla neoestetica, come se non si dovesse mai dimenticare che quando si accenna al trash si fa riferimento alla puzzolente immondizia; come se la fragranza della dotta disquisizione estetica non fosse mai riuscita a eliminare completamente il fetore che promanava dalla nascita questa categoria. Oggi viene usato astutamente per attribuire un nome ad alcuni momenti particolari – come dire, bastardi – della televisione, raggiungendo due scopi: dare sostanza al nulla e suggerire che il trash riguardi solo certi programmi e non la televisione stessa, che strutturalmente esprime il trash nella sua immediatezza e nella sua purezza cristallina.
Oggi per esempio si usa il termine trash a proposito dello scontro tra un playboy e un cantante a "Domenica in" , insulti e minacce di morte tutto compreso; o a proposito dei problemi familiari di Albano partecipante all’Isola dei famosi che viene lasciato dalla compagna coram pubblico italiano (oltre che in riferimento alle performance televisive della suddetta compagna). Ma siamo ancora nel punto di vista tradizionale, quello dei critici della neotelevisione. Oggi occorre uno sguardo più raffinato, si richiede una capacità critica più accurata. Il trash infatti in questi ultimi anni è diventato un fenomeno più complesso; in Italia tende sempre più a identificarsi con la categoria gramsciana di nazionalpopolare, ma nel senso opposto rispetto a quello voluto dal filosofo, giacché il carattere nazionale si è livellato verso il basso e non verso l’alto: grazie alla televisione, l’egemonia culturale non è più mediata dal pensiero, ma dall’immagine. La confezione non solo conta più del contenuto, ma fa a meno del contenuto stesso.
Accanto al rovesciamento del nazionalpopolare un altro fenomeno estetico rilevante di questi ultimi anni è stata la nascita di nuove categorie della società dello spettacolo, di cui la politica è una delle componenti: ad esempio il "regionalpopulista", che si esprime per esempio nella cacoestetica della retorica leghista. Il "regionalpopulista" è semplicemente tutto quanto una regione esprime culturalmente attraverso un elemento popolare che è solo un pretesto demagogico; il caso della Lega è esemplare: un fine pseudopolitico, in realtà rozzamente materialista (contenere entro la linea gotica i flussi di denaro, operando uno stacco dalla tradizionale catena di circolazione nazionale) crea un inesistente tradizione popolare per giustificare sé stesso; facendo questo però sviluppa una serie di manifestazioni cultuali e culturali, come la mistica del Po o le camicie verdi o la deriva neoceltica, che sono più interessanti del volgare progetto politico che sta alla base della Lega medesima. Il "regionalpopulista" si distingue nettamente dal "regionalpopolare", espressione storica della cultura autentica delle regioni meridionali, che si identifica in certe forme musicali, in rappresentazioni come la sceneggiata e l’opera dei pupi, in opere d’artigianato come il presepe etc.; tuttavia il "regionalpopolare" non può applicarsi, per esempio, a tutta la storia della canzone napoletana e anch’esso ha subito delle mutazioni: basti pensare ai recenti esiti neo-melodici del suo aspetto più low, che sono poi a loro volta diventati nazionalpopolari e internazionalpopolari nel caso di un Gigi d’Alessio, una volta trattati con la tecnica del "garbage". L’autentica cultura napoletana che un tempo si sarebbe definita popolare rientra invece oggi nella categoria del "vicolare"ed è totalmente misconosciuta ed emarginata; talvolta viene presentata con un intento trash in trasmissioni come Buona Domenica, per soddisfare il gusto di quella che si ritiene la fascia di pubblico più culturalmente arretrata ma che nondimeno è uno dei costituenti dello zoccolo duro dello share: tuttavia la presenza di Mario Merola e figlio che cantano insieme a Buona Domenica in un mood tra il reality e il trash più autentico – quello della televisione, che è genuino e insuperabile – ha, al di là delle intenzioni, un effetto perturbante che esteticamente si esprime in un cortocircuito il cui scarto può essere avvertito solo dall’imbarazzo che il pubblico in studio cerca di mascherare con sufficiente ironia e che rivela piuttosto la pochezza della televisione rispetto a ciò che resta di autenticamente popolare, pur nei suoi aspetti irrimediabilmente mercificati. Questa differenza tra "regionalpopolare", "regionalpopulista", "vicolare" e trash, è molto importante: se non la si comprende è meglio rinunciare a leggere la televisione e assumerne beatamente la mancanza di contenuti; del resto, dato che c’è chi sostiene che essa aumenti le facoltà cognitive, non sarebbe un atteggiamento riprovevole...
KITSCH è una categoria ormai superata che in origine designava l’imitazione per un pubblico low o middle di un prodotto artistico di alta qualità, che veniva banalmente ricodificato come testimonial di un gusto pretenzioso ma in realtà patetico. Ridicolo tentativo di appropriamento dell’aura dell’opera d’arte, tipico di una sensibilità squisitamente piccolo-borghese, comprendeva in sé le riproduzioni della torre Eiffel in miniatura, stili che si ispiravano a una letteratura colta per ammannire la sostanziale banalità dei contenuti, sculture d’oltre cortina inguardabili perché rappresentavano le menomazioni di guerra con intenti artistici (ma che oggi sarebbero molto rivalutate...), tutta un’ampia casisitica per la quale si rimanda a Eco, Dorfles, Branca etc. e che va da “Il vecchio e il mare” di Hermingway ai nanetti nei giardini di certe ville disgustosamente pretenziose. Nell’epoca della riproducibilità tecnica digitale (R.T.D., che si distingue dalla benjaminiana epoca della riproducibilità tecnica analogica, R.T.A.) il kitsch da gusto è diventato strumento e designa semplicemente quella modalità postmoderna della creatività artistica basata sul copia e incolla, sul mix consapevole di alto, medio e basso, insomma quell’attitudine a creare qualcosa in qualsiasi campo usando ciò che già c’è. Sicché se la musica leggera è kitsch, lo sono a maggior ragione per definizione anche il cinema o sotto certi aspetti la radio (intesi come tradizionali media R.T.A.), che si basano sulla superficiale manipolazione formale di elementi tratti dalla realtà, che è il loro fondamento estetico insieme alla mediazione che vi operano (mentre la televisione si distingue da essi perché trash e presenta una realtà ancora meno manipolata, grazie allo specifico della diretta che oggi si è evoluto nel reality, autentica televisione di frontiera). Oggi soltanto certe forme di letteratura, musica e pittura contemporanea si salvano dal kitsch come fondamento estetico (questo non impedisce però il suo utilizzo come tecnica). La televisione, essendo trash in sé e per sé, si nutre persino del kitsch tradizionale, che diventa così uno dei varii componenti della sua estetica, trasformandolo e rinnovandolo: l’uso di endecasillabi danteschi a fini pubblicitari fatto dalla d’Urso al reality non rientra semplicemente nel kitsch; esso non serve semplicemente a conferire un’aura culturale “alta” a La Fattoria, ma è inserito in un messaggio promozionale per vendere la merce dello sponsor che finanzia il reality medesimo. Definire “Picasso” un tipo particolare di vettura prodotto in serie da una casa automobilistica non è semplicemente kitsch, come si sarebbe pensato un tempo; la vettura non propone di consumare uno stile cubista applicandolo alla meccanica, non sono auto-Guernica quelle offerte al compratore, ma è semplicemente la firma dell’autore di Guernica a essere valore aggiunto, prescindendo dalle opere d’arte da lui eseguite, il cui mito è una garanzia sufficiente di artisticità, anche se magari non sono mai state viste. Per questo tipo particolare di kitsch che si esprime nel trash televisivo ma anche in quello cinematografico (i film del ciclo vacanziero vanziniano, per es.) propongo un nuovo termine, quello di garbage.
GARBAGE
Nel reality La Fattoria il garbage si esprime in un flusso interrotto che va dalla ricostruzione di un mondo delle mille e una notte falso ma nella location vera del Marocco (e non in uno studio cinematografico), alla riesumazione di zombie della televisione passata in studio (in Italia, reality nel reality) fino ai messaggi pubblicitari con intro di endecasillabi danteschi tratti dalla Divina Commedia. Questo mondo arabo fasullo da una parte rassicura il pubblico con i suoi geni della lampada e le sue scenografie esorcizzando i fantasmi integralisti e le tensioni internazionali, dall’altra contrappone uno stile di vita da ricchi (quello del pascià) a uno stile di vita da poveri (quello che si vive nella fattoria – la dicotomia è presente anche nell’opposizione tugurio/casa dei nababbi è nel Grande fratello 6); tuttavia di entrambi gli stili di vita sono protagonisti solo dei cosiddetti vip reali (sportivi, attori, fotomodelli, persino una cantante lirica). A ciò aggiungiamo che il pubblico avido consumatore di tabloid sa che il Marocco è una meta privilegiata per le vacanze dele classi più elevate e traiamone le conseguenze: il reality, pur facendo recitare loro il ruolo di contadini, è una vetrina di vip e in buona sostanza propone come esemplare il loro stile di vita. Ma lo propone nella dimensione trash di un reality. Ecco il garbage. Garbage è la partecipazione di sedicenti nobili all’Isola dei famosi o di sedicenti contesse a trasmissioni televisive. Garbage è il finto panclassismo che spaccia il trash come cultura comune, il che è un’operazione ideologica in quanto chi usufruisce della cultura televisiva investendola della sua credibilità è solo il pubblico televisivo. Garbage è l’utilizzo del kitsch non come presunta opera artistica in sé, ma come medium per vendere una merce seconda.
Garbage è l’alto che si maschera da basso rinnegando sé stesso in una finzione che nasconde altri fini, ben più raffinati del contrappasso che manda in solluchero lo spettatore quando la D’Urso adopera il termine “contadino” per chiamare la nota vedette protagonista del reality. Il fine è quello di una proposta di realtà più reale del reality stesso e che perciò nulla ha a che vedere con la vita. Si tratta, a ben vedere, della proposta stessa della televisione come medium, di cui il garbage è solo l’ultima, accattivante innovazione. Un altro esempio di garbage è offerto dalla serie vanziniana dedicata alle vacanze, protagonisti la coppia Boldi-de Sica: il fastidio che provoca la visione di prodotti del genere non è attribuibile in questo caso a quella forma mentis che induce istintivamente al disgusto per il trash piccolo-borghese o pseudo-borghese, e che può essere facilmente tacciata di pregiudizialità fine a sé stessa. Piuttosto è attribuibile al fatto che si tratta di pornografia astratta, pornografia senza referente erotico: il meretricio è quello di una volgarità di uno stile di vita spacciato per modernità; non è la mancanza di gusto, la rozzezza belluina delle battute da avanspettacolo (che possono avere un senso nell’avanspettacolo o in tras avanzate in cui si gioca con il mix dei codici alto-basso, tipo Markette) che ripugna, bensì la trivialità presentata come stile cool di una determinata classe sociale. Forse il generone non è così come viene presentato in questi film o forse è peggio, ma la trivialità in formato de luxe è autentica pornografia. I facitori di questo prodotto si difenderanno facilmente sostenendo che non fanno altro che riprodurre la realtà.
Altrettanto facilmente si può rispondere loro che è lecita la mimesi della realtà, ci mancherebbe altro, ma occorre quel minimo di coscienza critica che fa sì che un prodotto di consumo sia assimilabile e non sia solo un danno per la salute mentale: non si può impunemente rappresentare il marcio in una confezione accattivante per il pubblico, non gli si possono propinare escrementi spacciandoli per caviale. Perché ciò produce catalisi e non catarsi, non purificazione delle passioni ma giustificazione e esaltazione di un sentire che non è più lecito nemmeno definire passione, ma imbarbarimento, regressione e martirio del gusto. È la distanza intellettuale da ciò che viene rappresentato che permette anche al più crudo dei realismi di aspirare all’artisticità.
E nel caso della merce, di aspirare a un minimo di appetibilità in modo che non sia solo il prodotto da ingurgitare che il mercato offre al consumatore decerebrato.
Nel caso vanziniano è come se il peggio della tv venisse cinematografizzato e farcito di quelle libertà che al piccolo schermo non è consentita perché troppo pervasivo e fruibile potenzialmente da individui di ogni età e status. Con ciò non si vuole moralisticamente concludere che bisognerebbe censurare questo sottogenere (subgenere pecoreccio di lusso della commedia all’italiota, i film di serie B di con Alvaro Vitali etc. erano più dignitosi) come la vera pornografia; semplicemente si vuole offrire un exemplum a quella facoltà di discriminazione che è una delle componenti fondamentali del gusto e della capacità di muoversi agilmente nel campo della neoestetica, e che perciò si avvale di categorie come quella di garbage per raggiungere questo fine.
Integrando e riepilogando:
TRASH è oggi sostanzialmente il gusto televisivo, che adopera come sue componenti il kitsch e il garbage.
KITSCH è oggi soprattutto una tecnica neoestetica, giacché la benjaminiana aura non è più sostanza ma accidente dell’opera d’arte.
GARBAGE è il trash ben confezionato per un pubblico che aspira a comprarsi e consumare l’aura di quello che viene presentato come spirito neoborghese; è la pseudosatira che non castigat ma esalta certe costumanze; è la mimesi priva non di artisticità, ma di esigenze artistiche, la merce che non viene consumata ma che consuma il consumatore stesso; rientrano nel garbage i film di Vanzina o reality (non tutti i reality, che spesso sono semplicemente trash) come La fattoria o L’isola dei famosi, e altri aspetti del kitsch contemporaneo che abbiamo analizzato nella rubrica trash
CAMP è il gusto della comunità glbt. Originaria elaborazione della dialettica del transito d’identità, nasce come imitazione della grande diva (cantante o attrice) da parte dell’individuo maschio che non riesce a contenere o a definire la propria sessualità nel genere che gli ha affibbiato la natura. Nel camp rientrano per esempio le drag queen, oppure uno spettacolo come R.H.P.S o le gay parade. Il camp utilizza anche il trash per esprimersi.
CULT è l’utilizzo consapevole di trash, camp e kitsch.
THRASH è l’utilizzo a fini di critica sociale o politica del cult.
Una trasmissione cult come Markette, per esempio, è allo stesso tempo thrash . Il thrash non castigat ridendo mores, semplicemente castigat ridendo.
E in aggiunta ecco ora alcuni nuovi termini da me coniati o risemantizzati che designano ulteriori sviluppi e particolarità del thrash:
FILTHY è l’aspetto genuinamente pecoreccio del trash; talvolta si accompagna al garbage, ma non sempre; è una specie di softpornotrash, come per esempio la scena di Boldi sodomizzato dalla tigre in Vacanze in India; il trailer del Grande Fratello 6 che mostra le sagome che giocano a spruzzarsi l’acqua in quei punti lì (qui piuttosto si tratta di una marchetta filthy, ovvero della promessa pubblicitaria di un qualcosa di telepruriginoso); sintagmi confusi, spezzoni di frasi che emergono dalla conversazione intima e pubblica allo stesso tempo di due che “giocano” sotto le lenzuola, sempre nel Grande fratello 6; il recente “spazio autugestito” di Signorini in Markette, inaugurato con l’intervista a Zekky ex Isola dei famosi, protagonista con Pappalardo di un grande momento trash (questa volta inteso in senso squisitamente tradizionale e perbenista) a "Domenica in" condotta da Nostra Maron(n?)a (Venier) dei boys etc.
REFUSE è il trash involontario, oppure il trash che emerge dall’accostamento consapevole di frammenti mediatici ma presentato così abilmente da apparire involontario, quasi uno spasmo di zapping. Il refuse si basa sul taglia e incolla nel monraggio ed è la tecnica più cinematografica della televisione. Blob e Striscia utilizzano entrambi il refuse come tecnica principale del loro thrash. Ma mentre Blob utilizza esclusivamente frammenti mediatici e fa un’operazione cult, Striscia inserisce elementi di realtà (gli inviati speciali), tende a provocare eventi e a non affastellarli nella loro obiettività, propone un thrash fondamentalmente consolatorio, spesso correo che è opportuno definire thritsch.
THRITSCH è la critica apparente dell’esistente che suscita non la risata riflessiva, ma la risata assolutoria. Striscia rappresenta l’eccellenza televisiva in questo campo quando si occupa di politica o del sociale: pseudicone come Wanna Marchi o come padre Bisceglia sono creazioni di Striscia che vanno oltre i personaggi reali che stanno loro dietro e che sono stati solo un pretesto per costruire delle sagome che trovano nella televisione e solo nella televisione la loro autenticità.