skizomante

Tuesday, October 04, 2005

ALLA GENERAZIONE DEL MILLENNIO

Comincio oggi questo mio blog. Mi piace inaugurarlo con un fondamentale consiglio di lettura per tutti coloro nati dalla fine degli anni 60 alla fine degli anni 90, ovvero gli appartenenti a quella che definisco la GENERAZIONE DEL MILLENNIO di cui ritengo essere un componente con orgoglioso senso di appartenenza: leggete Marx, Freud e Nietzsche, se non lo avete ancora fatto, i tre grandi maestri del sospetto, come li ha definiti Ricoeur. E poi ripudiateli! Solo dopo aver circumnavigato la modernità possiamo definirci post. Certo, non crediamo più alle favole del manifesto sulla rivoluzione proletaria [anche perché l'unica cosa di cui oggi la massa non può fare a meno sono proprio le catene (della società dello spettacolo e dei suoi flussi mediatici)] nè a soli dell'avvenire. Ma non crediamo nemmeno che questo sia il migliore dei mondi possibili e che questo capitalismo sia l'unica struttura socio-economica concepibile. E inoltre la dialettica marxiana conserva spesso la sua utilità nel decifrare con più obiettività le vicende di questa oscura nottedel terzo millennio appena cominciata. Leggete Freud come una favola, ma leggetelo: solo così potrete deocstruire il suo edipo borghese e cominciare a pensare che in fondo tra lo psicanalista e il prete c'è ben poca differenza. Anzi, quest'ultimo ti assolve senza essere pagato e la sua religionte ha anche il valore aggiunto del Paradiso, lo psicanalista vuole denaro in cambio delle sue prestazioni e l'unica cosa che ti può garantire è un'analisi interminabile. Per quanto riguarda Nietzsche, beh è lui stesso che suggerisce al lettore di non idolatrarlo, ma anzi di levarlo dal piedistallo che gli si potrebbbe erigere una volta inteso.

FENOMENOLOGIA DI GIULIANO FERRARA

FENOMENOLOGIA DI GIULIANO FERRARA
Parte prima: aborti di stato, aborti fai da te e aborti ideologici.

Cessate le vacanze estive, imperversa nuovamente sulla rete La7 con il suo programma “Otto e mezzo” la figura di Giuliano Ferrara, riabbinatasi a quella di un neo-barbuto Gad Lerner dopo un televisivamente lungo divorzio consensuale. Le suggestioni che ci offre l’improbabile binomio mediatico sono parecchie: da quella di un italico neotalebanesimo alla pasta e fagioli alla riedizione politica della coppia Stan Laurel-Oliver Hardy, sulla quale mi pare abbia giocato Edmondo Berselli nell'ultima recensione dell'Espresso, passando per quella della coppia di poliziotti della società dello spettacolo, uno buono e l’altro cattivo, uno politically correct l’altro meno, pronta ad estorcere “confessioni” capziose alla vittima di turno, secondo la classica manualistica che concerne questo tipo di operazioni. Dal punto di vista estetico Gad guadagna con la sua barba fluente un glamour vagamente scalfariano e dal punto di vista dialettico un’autorevolezza post-rabbinica che può essere determinante nei momenti caldi in cui è difficile contenere gli umori di Giulianone, la barba del quale sembra seguire con i suoi peli ribelli l’estro dell’ “elefantino” (come lui stesso si firma) o del “cicciopotamo” come da altri è stato definito, per quanto questi siano animali (anche il secondo, in tutta la sua fantazoologia) alquanto glabri – ma forse il pelo è nello stomaco. Dal punto di vista ideologico è la Destra più avanzata (mi si perdoni l’ossimoro) che fa politica servendosi della televisione. Se volete capire cos’è la Destra oggi in Italia, in questa notte al principio del terzo millennio in cui tutte le vacche sono nere, piuttosto che seguire i funambolismi di Fini sulla procreazione assistita e le sue genuflessioni a Gerusalemme in nome del rifiuto del fascismo come male assoluto, vi consiglio caldamente di seguire la trasmissione di questo ex-comunista autoproclamatosi coscienza critica di Berlusconi e quindi dell’attuale governo ormai agli sgoccioli. E’ vero, Gad rappresenta il ruolo del sinistrorso, avatar del Ferrara che fu, e ha anche i titoli per farlo, ma è soltanto una spalla del mattatore Giuliano (è per questo probabilmente che in passato divorziò) autentico animale mediatico che buca, anzi sfonda lo schermo con la sua prosopopea di eretico convertito (sono i peggiori, si sa) che generosamente si permette pure di offrire una sponda al dissenso, il quale in realtà e funzionale ai suoi monologhi reazionari al servizio dello share e dell’ideologia (non si capisce quale delle due venga prima, ma c’è da dire che nella società dello spettacolo le due cose si identificano).
Per ora due sono state le puntate che ho seguito nei giorni della precedente settimana; in una si discuteva dell’aborto e della legge italiana che ne regola la fattispecie. Ad un certo punto, invece di discutere sul perché sembra che questa legge più che dare una mano alle donne che avevano il diritto di non consegnarsi alle mammane (aborto fai da te) a causa di una gravidanza non desiderata, ne abbia offerto invece una giustificazione legale (aborto di stato); sulla liceità di questo diritto che si esercita su di una persona potenziale, ancora più di un embrione, e non su di una cosa, e più che un diritto forse può essere spesso una violenza che può evitarsi con appropriate misure profilattiche; e sul perché la decisione spetta esclusivamente ad una donna (per un intellettuale di destra sarebbe stato questo il punto di partenza che mi sarei aspettato ed io che mi reputo di sinistra mi trovo nella scomodissima posizione di suggerire un’agenda a chi si trova all’opposto del mio modo di interpretare la realtà!), ad un certo punto, dicevo, la trasmissione si è fossilizzata in un vero e proprio aborto ideologico. Dopo la ridicolizzazione del “cappuccio”, che invece era una risposta seria alla stigmatizzata diffusione delle interruzioni di gravidanza, dato che chi vuole fare sesso senza finalità procreative ha il dovere di utilizzare il profilattico se non vuole macchiarsi di un aborto che quanto più è superficiale tanto più è un delitto, altro che conquista, Ferrara ha proposto come risoluzione una diffusione di una “cultura della vita” non meglio specificata e che però contrastava palesemente con i suoi notori uzzoli guerrafondai. Evidentemente temeva di dare un dispiacere alle alte gerarchie ecclesiastiche, che sono contro l’uso del preservativo persino in quei paesi africani devastati dall’aids, figurarsi se lo accettano per prevenire le gravidanze indesiderate. A questo punto devo dire che Giulianone mi ha sorpreso con un cortocircuito che nella sua sincerità guascona mi ha dato molto da pensare: a un certo punto ha affermato che (non ricordo le parole precise, ma il senso era questo) dobbiamo smetterla di menarcela con queste paranoie sulle generazioni future e sul mondo che dobbiamo preservare per loro, perché dopotutto, queste generazioni future, cosa fanno per noi? Mediante una paradossale diacronia decostruiva il kennediano “non chiedete cosa può fare l’America per voi, ma chiedetevi quello che potete fare voi per l’America” nel “non chiedeteci cosa possiamo fare noi per le generazioni future, ma chiedete alle generazioni future cosa possono fare per noi”. Pur nella sua paradossalità, dato che la macchina del tempo non è stata ancora inventata, giustificata solo dal cinismo più spietato (ma il cinismo con machiavellica metamorfosi lessicale è oggi realismo&verità) Giulianone ci offriva sul piatto d’argento una concezione della realtà nella sua cruda verità, senza ipocrite spezie che potessero lenirne l’amarissimo sapore. Sottotraccia mi è sembrato che il nostro fosse assolutamente convinto che le generazioni future saranno molto più felici di quella attuale, perché vivranno più a lungo, magari in una civiltà dell’idrogeno e non del petrolio, quindi con una salute più grande e saranno molto più felici perché avranno più merci, e più sofisticate, da consumare e da cui farsi consumare. Quindi a che pro preoccuparci della devastazione ambientale? Tanto le eventuali catastrofi da essa determinate nel presente (New Orleans docet) e nel futuro immediato riguardano i drop out, ovvero, permettetemi il termine obsoleto, i proletari di colore e gli altri emarginati; quelle del futuro un po’ più lontano possono benissimo essere ammortizzate con una massiccia esportazione di democrazia in cambio dell’importazione gratuita di greggio, sotto l’egida di una “scontro di civiltà”, dove “civiltà” è singolare e designa la nostra, rispetto a quella dei barbari musulmani. E qui emerge in maniera evidente la spirale di follia nella quale è avvolta la politica mondiale attuale: ma non sarebbe stato più razionale, oltre che giusto, preservare dai cicloni il suolo patrio piuttosto che finanziare una guerra imperialista giustificata solo dalla fame di petrolio di quegli executive ex funzionari di multinazionali che sono il nerbo della classe dirigente neo-con al potere oggi negli Stati Uniti? Magari iniziando a costruire infrastrutture per un economia fondata sull’idrogeno e liberarsi definitivamente da questa schiavitù del petrolio che è la causa prima di tutte le crisi del tardo-capitalismo? Di fatto, per quanto si ridicolizzi o si taccia di superstizione la credenza nella punizione divina di Allah, dal punto di vista simbolico l’uragano che si è abbattuto sulle coste degli Stati Uniti ci appare davvero come una risposta bellica all’imperialismo da parte di un Islam naturificantesi. Dopotutto, non erano da anni che gli scienziati avvertivano sull’enorme sperpero energetico e le sue conseguenze ambientali? Che lo spaventoso consumo di benzina oltre all’inquinamento provocava, sommato ad altri cofattori, surriscaldamento globale e notevoli conseguenze meteorologiche? E da dove proviene la maggior parte del petrolio? Da quella zona del mondo in cui si vorrebbe esportare la democrazia. Gli Americani - ironia della Storia - con la loro dipendenza dal petrolio si sono costruiti una bomba ecologica in casa, il cui esplosivo è stato acquistato proprio da quei paesi che oggi combattono (straordinaria metamorfosi di Bin Laden nell’uragano Katrina, peccato che come al solito siano stati gli innocenti a pagare, coloro che non avevano né una macchina per fuggire né un posto dove andare… Ma perché Bush non si veste da Rambo e sfida Bin Laden con i rispettivi accoliti, in uno scontro finale a mani nude in un posto remoto della Terra, che so l’Antartide, in modo da sfogare una volta per tutte gli istinti animali lasciando in pace gli altri abitanti della Terra?).
E le nazioni più avanzate che li hanno seguiti credendo che il capitalismo basato sul petrolio fosse l’unica forma di civiltà nei tempi moderni? L’Italia non avrebbe fatto meglio a preoccuparsi di lavoro, pensioni e sanità? Con quali soldi credete che sia stata finanziata la nostra avventura in Iraq? Quanti cespiti sono stati stornati per pagare l’invasione di un paese mascherata da operazione umanitaria? E visto l’esito che non può definirsi certo vittorioso dell’audace impresa, credete che queste somme cospicue ritorneranno nelle casse dello stato sotto forma di contratti vantaggiosi con le amministrazioni locali dell’Iraq invaso, commesse e quant’altro? Del resto se l’esito, per uno di quei capricci della storia, dovesse essere contro tutte le previsioni anche minimamente positivo dubito che si finanzierebbe il welfare - con denaro che per un pacifista oltretutto è pure sporco perché contaminato dal sangue di tante vittime innocenti - soprattutto se venisse solo mascherato come tale.
Piuttosto si finanzierebbe la continuità di un potere al quale non si riuscirebbe a rinunciare.
E a proposito di Saddam: non è stato certo un santo (ma un dittatore per definizione non si preoccupa di verifiche etiche, patrimonio di una cultura democratica), tuttavia aveva costruito uno stato laico. Il nuovo Iraq sarà pure democratico, ma sarà una democrazia fondamentalista in cui sunniti e sciiti si scanneranno per imporre di nuovo il proprio punto di vista religioso nella società. E poi i Curdi…
Ma dal macro torniamo al micro, anche se il termine sembra poco appropriato viste le dimensioni fisiche del soggetto di cui stiamo cercando di delineare una fenomenologia. Ho sviluppato una serie di riflessioni seguendo sottotraccia quello che l’elefantino non ha esplicitato, un suo barrito agli ultrasuoni che ho amplificato in modo che divenisse chiaramente udibile. Tutto questo da una sua considerazione sulle generazioni future che è durata una manciata di secondi. Ovviamente questa amplificazione decrittante è stata possibile perché da tempo seguo le sue trasmissioni, anche se in modo discontinuo, e leggo ogni settimana gli articoli che scrive sui giornali. Quindi credo di avere una visione abbastanza esatta della sua ideologia. Che egli tra l’altro in questo punto non ha per niente mistificato, ripeto che è stato di una sincerità sconcertante. Propagando dei disvalori. Che forse sono tali solo per me mentre potrebbero essere anche valori per uno che abbia la sua stessa ideologia. Ma c’è un particolare, una sorta di vizio di forma: il tema della serata era l’aborto. E allora, caro Giuliano, non sarebbe stato più onesto gettare subito le carte in tavola ammettendo che l’aborto era solo un pretesto per innalzare un peana al capitalismo selvaggio e all’imperialismo più ottuso? E per punzecchiare ancora una volta la civilissima Francia con le centinaia di migliaia di aborti registrati ogni anno? E per allinearsi sulle posizioni più conservatrici del neoclericalismo strisciante? Come puoi affermare di essere per una cultura della vita, quando è la guerra ad essere al centro della tua ideologia? Queste contraddizioni rivelano chiaramente che il tema dell’aborto, lungi dallo stimolare una riflessione autentica, è solo un pretesto per spacciare la propria falsa coscienza come trend etico. Di conseguenza non è più nemmeno ideologia quella che cerchi di propinarci, ma sono una serie di disvalori tout-court. Fulgido esempio sul quale è lecito esercitare una critica in base a criteri etici, nonostante la sua infrastruttura sia un pensiero democratico, anche se di destra, o pseudodemocratico: un autentico aborto ideologico, dal quale, nonostante la tua intelligenza, ne esci come paradigma del neo-con alla pasta e fagioli, che è per la cultura della vita secondo la tattica politica (Ruini, vorrei che tu, papa Benedetto xvi ed io…), ma per la guerra e la cultura della morte nella strategia dei rapporti internazionali. Fornendoci l’esemplificazione del cristianesimo come merce di scambio nella governance della modernità.