skizomante

Thursday, October 06, 2005

INTERVISTA A EROS DIONISI

Pubblico questa intervista all'amico scrittore Eros Dionisi, la cui copia è stata spedita via e mail anche a lui in modo che la pubblichi, con tutti i miei migliori auspici, sul nuovo blog che ha inaugurato oggi (raggiungibile anche da questo sito attraverso l'apposito link). Evoe comincia con questa intervista la sua strategia rizomatica, ricercando sul web talenti e personalità che meritano maggiore visibilità nella blogosfera.

Allora, Eros, come mai questo ritorno? Ricordo, credo con molti altri, il successo che riscuotesti anni fa su scrivi.com. Polemiche, attacchi gratuiti, discussioni filosofiche e letterarie sulla sessualità spesso fraintese, tenzoni in versi…
Beh, spesso delle mie argomentazioni furono contestate, credo sia per le provocazioni che scuotevano parecchi “sepolcri imbiancati”che prima si masturbavano gratis sui miei racconti e dopo predicavano dal pulpito della loro ipocrisia la loro moralità pelosa, sia perché suscitarono parecchi fraintendimenti…
Però ti leggevano in tanti…
Sì, mi leggevano in parecchi, almeno a seguire la registrazione del counter…sai, pubblicare nella realtà virtuale non ti dà questa certezza…magari erano sempre gli stessi che sentivano l’urgenza di leggere più volte ciò che scrivevo…io non ho mai aspirato al successo popolare; pubblicavo questi racconti sperando di essere seguito da poche persone, ma competenti…
Invece…
Invece spesso subivo attacchi pretestuosi da parte di coloro che non avevano letto nemmeno un rigo della mia narrativa, solo perché partendo da questa avevo espresso una serie di opinioni anticonformiste…per onestà devo dire che anch’io ho il mio caratterino e certo non mi lasciavo saltare, come si dice, la mosca al naso. Ma si trattava per lo più di scarafaggi invidiosi…invidiosi di che, poi? Del numero di visite che ricevevo?Oltretutto c’era questo meccanismo infernale dei voti, per cui se scalavi la classifica misteriosamente occupata sempre dalle stesse persone suscitavi gelosie, rancori…a un certo punto me ne sono andato disgustato; oltretutto dal punto di vista letterario pochissimi erano all’altezza di esercitare un minimo di critica, sui contenuti erano tutti bacchettoni e poi avevano uno scarso senso dell’ironia e dell’autoironia. Gli “scrittori” rinomati erano redattori di stupidi diari della loro insulsa quotidianità cui cercavano di dare un’aura lirica definendoli “poesie”, ma i risultati erano scarsi, spesso facevano vomitare. Non che io mi ritenga un grande artista, ma pretendevo giustamente che si giudicasse la mia opera in base alla qualità e non ai pregiudizi.
Il racconto erotico provoca ancora oggi reazioni moralistiche, anche se pubblicato su internet e in un’apposita sezione ad esso dedicata in modo da tutelare i minori?
Il racconto erotico, se è valido, provoca sempre una reazione, che può essere fisica come un’erezione o morale come uno scandalo. Oportet ut scandala eveniant.
Poi sei scomparso, per qualche anno…
Sì, come ti ho detto prima ero disgustato da questa situazione e poi sentivo la necessità di disintossicarmi dalla realtà virtuale, rientrare in contatto con la vita reale che è la fonte di ispirazione privilegiata di ogni buon racconto erotico.
A questo proposito ricordo che per definire lo stile dei tuoi racconti giocavi molto sulla coppia lessicale eretico/erotico.
Certo, non mi sono mai ritenuto un pornografo assoluto ovvero colui che scrive esclusivamente per ricavare un plusvalore dalla sessualità. La sessualità era un pretesto per un discorso filosofico che definirei, come tu ami dire, “sottotraccia”…
Era per questo motivo che mi piaceva leggerti, per questa capacità che avevi attraverso la narrativa di cortocircuitare i flussi desideranti, sebbene ritenessi che dal punto di vista dei contenuti fossi un po’ limitato, essendo le tue storie tutte incentrate su coppie eterosessuali.
E’ vero, ma si trattava di una scelta precisa. Avevo anche materiale di diverso genere, ma mi resi conto subito che non sarebbe stato apprezzato. Non volevo molti lettori, ma certo non desideravo che non mi leggesse nessuno. Sicché il rapporto etero era una sorta di specchio per le allodole, permetteva di raggiungere un pubblico comune, perché non desideravo essere uno scrittore per gay o fetish e chiudermi in quelle nicchie, determinava un’identificazione più facile e permetteva poi di introdurre quelle che nel tuo saggio “Contributo a una critica dell’economia politica dei desideri” definisci“schize” in cui i flussi desideranti potessero essere indirizzati creando un rizoma deviante.
Un racconto che mi colpì molto per questo fu “Scherzo da voyeur”, in cui un rapporto etero a tre evolveva in una sorpresa finale che capovolgeva il meccanismo di identificazione classico…
Suscitò reazioni contrastanti, a molti piacque, altri, che probabilmente avevano problemi di identità di genere ne furono colpiti in maniera negativa.
Per quale motivo hai deciso di ritornare a pubblicare?
Confesso che la molla iniziale fu una banale vanità. Facendo delle ricerche su internet mi accorsi che dopo anni era ancora possibile rintracciare il mio nome, soprattutto in commenti di terzi; i miei racconti ovviamente no, perché li avevo cancellati tutti, ma credo che i loro titoli compaiano ancora in scrivi.com; è un sito che tengo ancora d’occhio, perché se scoprissi che pubblicano i miei racconti senza il mio consenso saprei quali misure prendere, dal punto di vista legale…vi faccio una visita ogni tanto solo per controllare ciò. Del resto non potrei permanervi qualche secondo in più perché suscita delle reazioni fisiologiche, come dire, purgative nel mio apparato digerente.
Dopo quest’ultima boutade polemica, chiudiamo l’intervista con Eros Dionisi augurandogli di potersi esprimere senza censure preventive e ritrovare il pubblico che lo ha amato.

SULLA COSIDDETTA OMOSESSUALITA'

L’omosessualità non esiste; esiste un comportamento omosessuale.
L’eterosessualità non esiste; esiste un comportamento eterosessuale.
La triangolazione edipica è una favola freudiana funzionale all’ordine borghese. Quando Edipo possiede la madre dopo aver ucciso il padre si acceca; chi supera il complesso edipico, secondo la teoria freudiana raggiungerebbe lo sviluppo armonico dell’io, secondo il mito greco dal quale è stata tratta questa favola egli diventa cieco di sua volontà. La mutilazione non riguarda solo l’organo oculare, ma il fallo stesso, perché è castrante. Il fallo eterosessuale dell’io equilibrato sarà per sempre iscritto nel registro della vagina e legato ad essa nel binomio finalizzato alla procreazione. Freud è un prete sotto la barba di padre della psicoanalisi e i suoi allievi psicoanalisti non fanno altro che decostruire il tuo inconscio per inserirlo nella classica triangolazione sulla quale è costruita la loro teoria; questa contrattazione che mercifica l’anima viene regolata dal denaro, con il quale paghi la tua castrazione. Sarai assolto una volta che avrai pagato il tuo inserimento nella società borghese. Forse. Perché in fondo l’analisi è interminabile. Il prete ti assolveva gratis e in più ti garantiva il valore aggiunto del Paradiso, senza imposte monetarizzabili, giacché rinunciare al peccato è sì un costo, ma viene ammortizzato dalla tua spiritualità, secondo una scelta e non secondo il vile denaro.
Il lessico della sessualità non è innocente: esso è strutturato secondo un ordine preciso che distribuisce i ruoli in forme fossilizzate stabilendo una norma rispetto alla quale tutto il resto è devianza. Cioè perversione. Tutti i problemi psicologici legati alla sessualità hanno origine in questa distribuzione precostituita e al processo di identificazione che ne scaturisce. Ne sono vittima tanto gli etero quanto gli omo. Un uomo o una donna eterosessuali che si identificano con la loro sessualità si definiranno eterosessuali, viceversa un uomo e una donna che si identificano con la loro omosessualità si definiranno omosessuali. Entrambe le coppie sono sotto effetto di castrazione, perché hanno incanalato i loro flussi desideranti in un ruolo prestabilito.
Ne consegue che: la cosiddetta presa di consapevolezza della propria omosessualità è un auto-castrazione, credi di esserti liberato, ma in realtà ti sei incatenato ad un ruolo; il cosiddetto coming out è in realtà un coming in che ti ha declinato per sempre nella morfologia della sessualità borghese. D’ora in poi sarai un omosessuale e questa identificazione sarà utile a incasellarti in un ordine dove la falsa tolleranza indorerà il ghetto che ha preparato per te. Tanto è vero che l’esito dell’emancipazione di quelli che orgogliosamente si definiscono gay (=felici per cosa? ma per la loro castrazione, novelli convertiti inconsapevolmente al ferale culto di Attis) è l’istituzione matrimoniale dell’altra coppia di castrati, quella eterosessuale. Tanti gay pride, battaglie e rivendicazioni per raggiungere lo status di maritino e di mogliettina, e cioè ancora una volta, papà e mammà.
Da qui la grande sciagura dei nostri tempi: la femminilizzazione della mascolinità; coloro che si identificano con il loro comportamento omosessuale hanno bisogno di assumere un ruolo passivo, femminile, perché il loro desiderio venga riconosciuto dal maschio vero, proiezione della identità alla quale hanno rinunciato, che non attireranno mai perché questi non si riconoscerà nell’animus femminile di un corpo maschile, e preferiranno sempre l’originale rispetto al simulacro dotato di fallo. A meno che non abbiano rifiutato il corpo femminile e ricerchino espressamente proprio quello che questo corpo non può dare loro, cioè il fallo: il classico omosessuale, non “represso”, come comunemente si dice, ma in fase trans: vuole il fallo ma non lo accetta dal corpo maschile, perché egli si è legato alla sua identità maschile in maniera imperfetta, ma definitiva ed è semi-edipizzato: tanto è vero che può trovare soddisfazione solo nel rapporto con i travestiti, che ostentano meraviglia quando il rude padre di famiglia si mostra incuriosito soprattutto per quello che hanno fra le gambe. E quelli che si prostituiscono lo sanno bene, sicché per non perdere i clienti rinunciano all’operazione. E questi clienti sono in realtà i veri transessuali, nella prospettiva del desiderio, anche se sposati e con figli.
Per quanto riguarda i restanti omosessuali sedicenti attivi o quelli che non accettano l’identificazione passiva esclusiva, il loro ruolo attivo sarà comunque esercitato in un simulacro di femminilità: il loro fallo resterà un clitoride sterile e la loro personalità sarà uterina, ma meno marcata di chi si è identificato con il ruolo passivo. Sfumature che cito per precisione d’analisi. Basta osservare una comune coppia gay per verificarla (a patto che uno dei componenti non sia una marchetta, allora il discorso è diverso).
Ora, se seguiamo sottotraccia Lacan, e creiamo una schize nel discorso freudiano dirottandolo sulla presenza o l’assenza dell’”oggetto a”, la liberazione sarà comunque una castrazione, perché sarà la rinuncia al flusso desiderante che conseguirà alla decostruzione del fallo e alla sua designificazione.
Come viceversa sarà castrante l’ipersignificazione del fallo per colui che ha creduto di trovare la sua liberazione nella “piena accettazione della propria omosessualità” (frase che non significa nulla, perché l’omosessualità non è una condizione, ma un comportamento): egli avrà rinunciato comunque ad un fallo, il suo, e non troverà mai il fallo che possa sostituirlo. Da qui l’ansia e la perenne insoddisfazione di molti gay. La loro impossibile ricerca della felicità. La loro deriva in una femminilità posticcia e consolatoria di vecchia zitella che avrà vissuto pure i suoi momenti di gloria nella sua gioventù, ma che ormai non conosce più l’amore.
Ecco perché i bisessuali sono guardati sempre con sospetto: gli omosessuali li affiliano automaticamente alla loro confraternita perché li ritengono gay ancora a metà del guado, gay che non si sono accettati completamente, mentre in realtà sono liberi perché non hanno incanalato i loro flussi desideranti nella grammatica del sistema. Gli eterosessuali invece pensano che siano persone in fondo normali, perché pur avendo un comportamento deviante sono in grado di penetrare una donna, che è la cosa fondamentale per il mito della procreazione che essi hanno. Tuttavia non li ritengono maschi al cento per cento, secondo sfumature che variano a seconda del luogo o del periodo storico. Inconsciamente ne sono attratti, perché capaci di godere del fallo senza rinunciare al proprio, aspirazione segreta di ogni uomo.
Mi sembra chiaro che in base a queste considerazioni, il coming out è una piaga per la comunità omosessuale, è un auto-ghettizzazione tra l’altro funzionale al sistema capitalistico alla ricerca continua di target per le merci che deve vendere: più un target ha una identità precisa, più è facile trasformarlo in un segmento di mercato. E fare pressioni perché qualcuno faccia il coming out è una vera e propria violenza, è un trapianto d’identità sul quale non si può giocare con le argomentazioni della necessità della visibilità, della sincerità, dell’accettazione di sé: ne va della perdita del fallo.
Il sé è complesso, è questo e contemporaneamente è altro e chi si dichiara omosessuale tout court non afferma il suo sé autentico, ma solo quella parte che ritiene possa essere utile al suo inserimento in una comunità. Infine battersi per il matrimonio dei gay mi sembra veramente la deriva assoluta del movimento: parodia blasfema di un mito piccolo-borghese, riconoscimento definitivo della propria inferiorità sociale, omologazione totale ai modelli imposti dalla società. Il riconoscimento dei diritti dei conviventi si affrontano sul piano del codice civile, non con la parodia di un’istituzione che ha tutti altri fini. Non escludo la sacralità di un unione tra due persone dello stesso sesso, ma 1) non vedo come potrebbe sancirla una Chiesa che pone ancora la “sodomia” tra i peccati capitali 2) perché deve essere lo scimmiottamento di un rito eterosessuale e non la creazione ex-novo di un nuovo rito per una nuova religione.