skizomante

Wednesday, December 03, 2008

RIFLUSSO GLBT

RIFLUSSO GLBT
Le recenti affermazioni di Vladinir Guadagno in arte Luxuria, in merito allo scollamento del classico binomio transessualità/trasgressione, seguite alla sua performance nell’ “Isola dei famosi” , dove sorprendentemente si è erta a paladina di un moralismo stucchevole, tradizionale e fondamentalmente piccolo-borghese, sono l’esempio di una tendenza che mira a normalizzare, per istituzionalizzarla, ogni devianza, disinnescandone così il potenziale creativo che ne è da sempre la ratio fondante, pur nelle sue declinazioni più o meno eversive. Esternando il suo desiderio di trascorrere il Natale a Foggia, dalla sua famiglia e affermando al contempo di non essere una persona trasgressiva per il solo fatto di essere una trans, dà al suo personaggio un colore tutto familliar-italiano in modo che possa essere metabolizzato anche dalla casalinga di Voghera, per riprendere l’abusata ma efficace definizione di Arbasino del massmedia consumer di fascia più calda (nel senso macluhanesco del termine sclc quello con minor strumenti extramediali che gli permettano di non subire passivamente il mezzo). Nihil sub sole novum: anche Renato Zero è riuscito a farsi accettare dal meccanico di Casaluce (questa definizione è mia e riprende invertendo il gender quella arbasiniana) giocando su una trasgressione anche spinta , ma tutta di facciata e che in fondo non metteva in discussione la Sacra Famiglia Italiana (emblematica la canzone “Il triangolo no” a questo riguardo). Addirittura, non molto tempo fa, Renato dichiarò a Pippo Baudo che la sua ambiguità sessuale fu una sceneggiata per evitare di fare il servizio militare. E così il cerchio si chiude, dall’impegno schizo di Mario Mieli (uno dei fondatori del movimento omosessuale/transgender italiano, autore di “Elementi di critica omosessuale”, 1977) nel rassicurante circuito farsesco della più genuina commedia all’italiana, in questa fine di prima decade del terzo millennio. In fondo trattasi di un “innocente vizietto”, “ama vestirsi da donna e allora ?”, “il “femminello” a Napoli porta fortuna”, “ognuno ha diritto di fare quello che vuole della sua sessualità” (a tre palmi dal mio culo) e via luogocomunando. Beh, al caro Vladimiro manca solo la santificazione sul presepe natalizio (non mettiamo limiti alla Provvidenza, può darsi che gli artigiani siano già all’opera e gli stiano dedicando un posto non lontano da Obama).
Insomma, mi sembra evidente: siamo in pieno riflusso gblt. Gli omosessuali che chiedono di sposarsi come la tradizionale coppia borghese, i trans che trasgrediscono come se fosse una carnevalata, cioè vestendosi da donna come un personaggio di Tognazzi o Banfi nelle commedie cosiddette di serie b, sostituendo semplicemente la mise casalinga con una più sofisticata e à la page.
La Trasgressione insomma non esiste più. Ha vinto la Norma. In questa Norma il transessuale è destinato, come l’omosessuale, ad avere una sua nicchia folcloristica: egli sarà accettato e a qualche eletto (per fini paradigmatici) addirittura gli si faranno vincere ricchi premi, gli si daranno fama e successo e anche l’opportunità di una carriera politica, purché la sua diversità sia di facciata e si limiti a un travestimento, come a carnevale.
Questo è il posto della diversità nella società dello spettacolo italiana. Quanto più enormemente perturbante appare la figura di un Marylin Manson, tanto per dirne una. O quella di Aldo Busi, tanto per restare in ambito nostrano. Ma la peculiarità di Vladimir Luxuria consiste nel fatto che è stato il primo e unico diverso che ha cortocircuitato (apparentemente, perché in fondo si identificano, trattasi solo di distinzione di location) la società politica e la società dello spettacolo, passando da protagonista dalle serate della Mukkassassina al Parlamento e poi al reality show più seguito, con l’unico risultato di omologare la propria diversità a quanto ci fosse di più conforme alla mentalità corrente. Di fatto non ha avuto alcun ruolo politico. Di fatto non ha proposto nulla di spettacolare.
Il messaggio che passa è molto caldo e rassicurante: dichiarati pure donna in corpo di uomo, saremo sempre pronti ad applaudirti, con la comprensione pelosa della tua diversità, a patto che tu condivida i nostri valori e di conseguenza rinunci ad essere veramente, completamente te stesso.
Ma non è quello che in fondo chiedono tutti i glbt? Essere accettati? Ma non li si è sempre accettati in fondo? Specialmente nel nostro paese, con la sua enclave teocratica (Città del Vaticano) i cui esponenti teologicamente espurgano il paradiso dalla diversità salvo poi ascoltarne le confessioni e mondarla - dalla grata della bussola o dalla sagrestia - del suo peccato? Mi spingo più in la: se non ci fosse stata la visibilità dei gay pride per esempio, ci sarebbero stati rigurgiti di omofobia? Se la diversità non si fosse posta come soggetto politico quale sarebbe la situazione dei gay in Italia? Chiedetelo ad Arbasino cosa facevano gli omosessuali negli anni ’50 del secolo scorso, quando il gay come soggetto sociale e politico era ancora a di là da venire…sembra di divertissero molto di più, altro che sfilate, parade, diritti, rivendicazioni, omofobia…
Io dubito che possa esistere il glbt in quanto persona sociale o in quanto soggetto politico
Credo che l’omosessualità possa essere un’esperienza o una scelta, con più o meno gradi di naturalità. Credo che su un comportamento sia molto pretenzioso costruire un’identità sociale o politica. Al massimo, e questa sì che è utile all’Uomo in quanto tale, se ne può costruire una letteraria o artistica. Ammettendo il contrario si giunge alla massificazione e all’omologazione di questa importante esperienza umana, che ha radici religiose (sciamaniche) e culturali molto forti, ma che si sono eclissate in un conformismo piccolo-borghese che fa solo gli interessi della società dello spettacolo, che è società dei consumi, non dimentichiamolo, in cui la merce omosessuale è solo uno dei vari target che servono a far funzionare il motore della malata economi globale. D’altro canto, la pretesa a rivendicare gli stessi diritto dei cosiddetti “etero”, in campo civile e in campo religioso con il matrimonio, per esempio, dequalifica il gblt in persona che scimmiotta quelli che sempre lo discrimineranno, aumentando per di più il loro odio di gender. Un omosessuale non potrà mai essere capito e veramente accettato se non da un altro omosessuale (spesso nemmeno da questi) o da un’artista, non ci si illuda. Le differenze dei gender sono insopprimibili, e francamente, l’effetto che mi fa un gay che ne sposa un altro in chiesa, a prescindere dal fatto o no che entrambi o uno dei due indossi l’abito bianco è lo stesso di quello di una donna che guida un carro armato: un sentimento di pena, che è tragico, per il tradimento del loro gender. E un sentimento di ridicolo, che è comico. Per dirla alla Pirandello, è solo umorismo.

Tuesday, March 06, 2007

AVVERTENZA

A causa del processo di ristrutturazione di "blogger" e per altri motivi tecnici, soprattutto gli ultimi testi postati necessitano di una revisione editoriale a causa di refusi e dissesti ortografici/sintattici indotti. Ci scusiamo con i lettori; provvederemo quanto prima a una correzione generale.

Monday, November 20, 2006

GRANDE RAI 1


L’ammiraglia in questa stagione continua ad incantarci con le sue sorprese. Segnaliamo innanzitutto la grande notte di giovedì 16 novembre, in cui Gigi Marzullo ci ha riproposto una straordinaria intervista a Mario Merola, il grande cantante e attore napoletano purtroppo scomparso, che per un miracolo della tecnica è sembrato resuscitare anche se solo catodicamente. Commovente la telefonata del pupillo Massimo Ranieri al suo padre adottivo, commoventi i ricordi della storia del mattatore partenopeo, la confessione del vizio del gioco. La Rai non avrebbe potuto escogitare un epitaffio più degno. La notte poi è proseguita con la programmazione di due sceneggiate in formato cinematografico: Cient’anne, con protagonista Gigi d’Alessio, in cui il rapporto padre-adottivo/figlio nella finzione dello schermo risulta illuminante su quello che deve essere stato il rapporto d’Alessio-Merola nella vita. E Guapparia, storica cine-esemplificazione di un genere teatrale ingiustamente vilipeso dalla miopia culturale degli intellettuali di sinistra nostrani. Torneremo in maniera approfondita su questo argomento in una sezione che sarà dedicata esclusivamente alla cultura napoletana.

Domenica 19 novembre grande ritorno su Rai 1 di Milva, la pantera di Goro; ospite di Pippo Baudo, ha cantato una poesia della Merini. E’ stata riproposta poi una vecchia intervista canora che Baudo aveva fatto a Milva anni fa, con quel gusto del varietà fatto con un certo stile, gusto che sembra ormai scomparso dalla televisione italiana. Chicca: lo spezzone di una esibizione di Milva con Mina di tanti anni fa. La pantera di Goro, dalla chioma infuocata, è stata teatrale come al suo solito e vivissima: ci è parsa come una delle grandi streghe del mondo dello spettacolo italiano, che le sta anche stretto data la sua vocazione internazionale. Quindi c’è stata l’ospitata di Lino Banfi, che sarà protagonista di un film per la televisione dedicato a una tematica forte, il lesbismo, in onda lunedì 20 novembre. Banfi è come il vino, più passa il tempo e più diventa buono. Rai 1 d’altro canto mostra di adeguarsi al time stream e continua nella sua programmazione gay friendly (oltre che gay eye winkly) con una scelta coraggiosa, considerando la sua storia e il suo statuto, ma lungimirante nella prospettiva dei nuovi target da catturare. In ogni caso riteniamo che Il padre delle spose sia uno di quei prodotti che possano contribuire a cambiare in positivo la weltanschauung retriva dell’italiano medio, e auspichiamo che presto venga girato anche una “Madre degli sposi” in cui i protagonisti siano due gay maschi.
Dopo il telegiornale c’è stato Fiorello che ha proposto via catodica il divertente programma che conduce su Radiodue; spacciose già le microclip pubblicitarie, con David Sassoli costretto a una hola che con gusto ha trasformato in un segno di resa di fronte alla vis comica di Fiorello. Bibi Ballandi invece si è rifiutato di fare il gesto della pantera mentre il povero Mike Buongiorno è emerso come da un sipario al contrario nella sua microclip, come in una riesumazione apotropaica che ha confermato la sua vitalità dimostrata poi anche con una piccola serie di flessioni che Rosario gli ha proposto di fare insieme a lui nel corso del programma. Mike resta al di là di ogni fenomenologia un’icona della televisione italiana: il Novecento catodico contro il XXI secolo rappresentato da Fiorello, che lo ha messo in croce imitando la sua dizione teatrale e la sua americofilia. Non crediamo che Fiorello avrebbe potuto sfruttare meglio la presenza catodica di Mike, come suggerisce il critico Giannini del Mattino di Napoli: Bongiorno è un presentatore e non un istrione vero e proprio, e dato che ormai è una teleicona era sufficiente la sua sola presenza per il lavoro spettacolare di Fiorello. Il povero Mike si è risentito un po’ solo per le parolacce che Rosario imitandolo gli faceva dire; come un signore d’altri tempi ha invitato il giovane presentatore a sciacquarsi la bocca dandogli una bottiglia d’acqua che sembrava avesse anche la connotazione di uno scambio di consegne simbolico; ma l’invito ci è sembrato esagerato perché le parolacce erano bippate e il meccanismo comico si giocava proprio nel contrasto tra la telesignorilità di Bongiorno (la storia della Longari e della sua caduta sull’uccello pare sia solo una leggenda mediologica) e le volgarità gratuite che Fiorello gli attribuiva nella sua imitazione. A un certo punto Fiorello ha fatto indossare a Mike un paio di occhiali da personaggio del Rocky Horror, con quel gusto bambinesco del dileggio che è la sua cifra comica specifica, trasformandolo in una specie di telemosca. Mike è stato allo scherzo ma dal canto suo non è stato avaro di critiche, suggerendo a Fiorello che la sua dimensione spettacolare è quella dell’one man show, snobbando così il deuteragonista Marco Baldini. E, in cauda venenum, quando Fiorello ha presentato alla fine la sua squadra di autori, Mike ha insinuato che la bravura del siciliano fosse in stretto rapporto con la quantità dei professionisti che lavorano per lui. Spassoso come sempre il personaggio del bastardo di Monghidoro, ovvero un Gianni Morandi cattivissimo e gustosa la versione swing e americanizzata anche nel testo del Ballo del qua qua successo di Romina Power di molti anni fa. Speriamo che il programma continui e ci dispiace che si debba scegliere tra il suo e quello omocronico di Fazio. La Rai, quando fa trasmissioni di qualità, non dovrebbe lasciarsi schiacciare così dalla logica del target e da quella del mercato.
Dopo lo show di Fiorello la programmazione è continuata con la fiction Capri, che insieme ad Assunta Spina testimonia la lodevole vocazione meridionalista dell’Ammmiraglia, che si riconferma come il migliore canale italiano in questo autunno.

ESERCIZI DI SCHIZOANALISI I IL CASO GARDINI-LUXURIA: OVVERO MICROMECCANICA DESIDERANTE DELLA TOILETTE.

Mercoledì 1/11/2006
L’onorevole Vladimir Guadagno alias Vladimir Luxuria è stato ospite dell’ultima puntata di Matrix di Mentana. In una mise alquanto sobria ha espresso le sue pacate considerazioni sulla vicenda che lo ha visto protagonista con la Gardini a proposito dell’uso dei servizi del parlamento. La redazione di Matrix ha ricostruito monumentalmente (come ammette lo stesso Mentana) tutte le fasi salienti della sua vita, da quando era un giovane studente pugliese venuto a Roma, all’impegno artistico nel circolo Paolo Mieli (che, ricordiamo, è stato l’unico in Italia che si sia impegnato in un esercizio critico con un suo spessore filosofico nell’ambito del pensiero omosessuale) che infine è sfociato nelle famose serate della Muccassassina.
Luxuria conferma che l’omofobia in Italia in realtà non esiste. Almeno tra gli scranni dove i deputati poggiano le loro terga. Apprendiamo tutta una serie di cortesie ricevute da esponenti della Destra, addirittura fiori che non l’hanno fatta sentire discriminata rispetto alle altre colleghe donne. La stessa puntata di Matrix in cui l’onorevole era ospite è stata una specie di sdoganamento della figura del transgender (finalmente apprendiamo Luxuria come definisce se stessa ufficialmente: non è transessuale perché non si è operata, né ungender, né metagender è semplicemente transgender).
Sobria, elegante, Luxuria ha liquidato l’incidente con la Gardini con gran classe, incidente che a torto Mentana ha stimato di infimo livello - perché è grazie a episodi come questi che esce fuori la conflittualità intergender spesso latente in quanto rimossa nel politically correct.
L’episodio Gardini Luxuria ha evidenziato la rabbiosa idiosincrasia gynica nei confronti di chi rifiuta il gender maschile e si ponga, con un apparato libidico biologicamente maschile, in uno spazio femminile; probabilmente se Vladimir fosse stato semplicemente un gay non si sarebbe arrivato a questo polverone. Ma il fatto che egli sia un uomo che si appropri di un gender che la natura gli ha rifiutato, senza rinunciare all’apparato libidico originario, e contemporaneamente territorializzi uno spazio femminile, pone la sua identità su un margine dove la conflittualità coll’altro gender rischia sempre di esplodere facilmente. A maggior ragione se questa territorializzazione avviene in una pubblica toilette, e non in un posto qualsiasi, ma nel Parlamento italiano. La toilette, come è risaputo, rappresenta il nostro inconscio. Il luogo dove vengono disciplinate, selezionate e raccolte le secrezioni organiche è un collettore di desideri che a livello materico assumono la nota consistenza fecale o fluidità diuretica, ma che a livello simbolico si mettono in gioco in una micro o macromeccanica che è oggetto della schizoanalisi.
Ipotizzo che il risentimento della Gardini sia stato causato dal fatto che probabilmente non possa più ormai, per motivi anagrafico- biologici (o per motivi psicologici, anche sul piano dell’immaginario tout court), vivere l’esperienza della maternità (esperienza fondante di tutto il gender femminile) e per questo credo che abbia gratificato simbolicamente di tutta la sua acredine il trans-fallo del nostro Vladimir, la cui mancanza genitale (simbolica e soggettiva nella prospettiva veterosessista della Gardini) ha preso il posto del “nome del padre” nella personale catena nevrotica della deputatessa (è schizoanalisi , baby! A proposito, mi piacerebbe che la Gardini mi confermasse o mi smentisse la diagnosi, sarebbe utile allo sviluppo della mia scienza). Vladimir ha costruito una geometria perturbante sull’ipotenusa della figura edipica della Gardini, facendola saltare dopo aver “ingrippato” la triangolazione: è come se avesse disegnato un altro triangolo invece del pitagorico quadrato, un triangolo che ovviamente non può corrispondere alla somma dei quadrati costruiti sui due cateti. Per i profani: la reazione spropositata della Gardini a mio giudizio è stata determinata da un desiderio inconscio di introiezione fallica accentuato da una supposta - incipiente, conclamata o psicologica tout court - menopausa, cui un "ungender"(perché Vladimir tale deve essere per lei che non lo ha accettato come trans-) non avrebbe mai potuto ottemperare. Vladimir ha rappresentato il maschio mancato nel circuito libidico della deputatessa, che ha letto l’intrusione nella sua vagina simbolica (la toilette femminile) come un’aggressione risoltasi senza penetrazione. Da qui lo sberleffo che inconsciamente crede di aver subito. Quindi l’aggressione e l’accusa di maschilismo, che rivela il desiderio rimosso della onorevole (ti accuso di maschilismo perché avrei voluto che tu fossi un vero maschio…seguite il discorso?) Se Vladimir fosse stato un uomo che si identificasse (o che si fosse identificato anche solo in quel momento) col suo gender, stimo che la vicenda avrebbe assunto tutto un altro colore, un colore in ogni caso determinato dal rapporto della deputatessa con la sua maternità e dal deputato con il suo fallo, e dalla loro interazione nella micromeccanica desiderante specifica.


Riepilogando:
1) il fatto che la Gardini abbia accusato di maschilismo al tg l’onorevole Luxuria per il fatto che abbia rivendicato la scelta dei servizi igienici femminili la trovo semplicemente ridicola, da un punto di vista pragmatico. Ma da un punto di vista simbolico, leggo questa cosa come una schise che mi permette di decifrare la micromeccanica desiderante della deputatessa. Da un punto di vista sociologico invece questo episodio mi sembra molto significativo perché getta una luce sulla conflittualità di genere che sarà il fulcro della macromeccanica desiderante prossima ventura.
2) la presenza stessa di un essere come Vladimir Luxuria in Parlamento è una vittoria del movimento gblt perché qualunque cosa succeda (anche un episodio apparentemente squallido come l’uso di una toilette) propone all’attenzione del mondo le tematiche gblt.
3) la conferma è al tg della sera dove la giornalista cita la legge 164 del Parlamento italiano che di fatto legalizza il “terzo sesso” ovvero il sesso che non rientra nei gender tradizionali m e f
4) secondo me ora si dovrebbe sancire per legge che un ungender, un transgender o un metagender abbiamo diritto di usufruire dei servizi igienici secondo le proprie necessità a prescindere che siano per uso maschile o femminile
5) è già stato sollecitato il presidente della camera Bertinotti perché si occupi della questione
6) questo è il mio modesto contributo di a.g.i. (attivista gblt indipendente) per dirimerla: immagino un incontro a tre nella toilette del transatlantico che sancisca anche a livello simbolico l’integrazione della diversità: dopo una bella bevuta di birra (che stimola la diuresi) Vladimir entrerà prima nella toilette femminile con la Gardini rinsavita; poi nella toilette maschile con Bertinotti accondiscendente.
E poi tutti al lavoro per la nuova legge: piena libertà di usufruire dei servizi igienici, qualunque sia il loro colore sessuale, da parte degli extragender (un/meta/trans).
P.S.
Definisco extragender tutti coloro che vanno al di là del proprio gender, (un-, meta- o transgender che siano)
Definisco ungender colui che usufruisce della libertà di non accreditarsi un gender determinato, ovvero il trans- che abbia fatto per esempio un percorso mtf e desideri poi ritornare indietro optando per un ftm. O colui che pur identificandosi biologicamente col proprio gender non se ne faccia condizionare nella scelta sessuale (ad esempio il bisessuale). O semplicemente colui che non si identifichi in nessun gender specifico o che gli altri non riescano a identificare con un gender specifico (per ignoranza soggettiva o per impossibilità oggettiva).
Il termine trans- (col trattino) è un termine generico in cui, per semplificare, includo il transessuale, il travestito e il transgender
Il termine metagender invece designa il corpo senza organi della macchina desiderante funzionante.
Il termine schise indica un’occorrenza oggettiva che permette di decifrare aspetti rilevanti/rivelanti in un processo di meccanica desiderante grazie alla schizoanalisi.
Il termine schize designa invece un’occorrenza dello stesso tipo, benché soggettiva.

Friday, November 10, 2006

ULTIME DALLA TELE

Domenica 5 novembre 2005
LOREDANA LECCISO DA GILLETTI
Loredana ritorna e si fa processare dalle trenta gillettine. Il progetto “Loredana Lecciso” credo sia stato nel complesso (dalla danza herpetica alle esternazioni sull'isola dei famosi) una strategia mediatica per innalzare lo share in un periodo di risacca televisiva e contemporaneamente una autocelebrazione del trash televisivo. Ma anche un' autodenigrazione compiaciuta, ovvero il nulla che dà la fama secondo il reality trendy imperante. Loredana, che sarebbe un torto giudicare stupida quanto appare, in questa strategia ci ha messo la sua faccia, le sue cosce di prosciutto, il suo herpes. Senza scuorno. Esemplare caso di telemasochismo, di sprezzo del ridicolo e del decoro, la pseudoteleartista per un attimo sembra anche avere un guizzo di intelligenza davvero sorprendente, come se avesse consapevolezza registica del progetto, del suo essere solo una parodia volgarissima di una teleshowgirl, allo scopo di dimostrare che di questi tempi l'unico requisito per fare televisione è non avere qualità...ma non si è capito quanta coscienza propria ci fosse in qualche sua viperina allusione; e quanta di chi l'ha telecomandata, come fosse una buoncompagnesca creatura fuori età, fuori ruolo, fuori tutta.

“BUONE DOMENICHE”
Malgioglio e Zanicchi si esibiscono nel programma della Perego...il pugliese non sembra in gran forma canora, Ivissima ha ancora qualche artiglio che resiste valorosamente alla decalcificazione...très vintage.
Li preferiamo entrambi, comunque, quando si esibiscono pubblicamente nelle cufecchie a danno dei colleghi, specialmente la Iva che sa essere di un thrash così spontaneo...La buona domenica ci propone poi: le oche del campidoglio, le pupe e i secchioni e l'agenda tutta di cui cito solo un titolo: “è giusto rifarsi?” o qualcosa del genere.
Marina Ripa di Meana dichiara 65 anni e poi dice di averne 103 in realtà e via delirando di terremoti di Taormina, di guerre mondiali. La Bertini (Francesca la leggenda) le avrebbe insegnato come plastificarsi; in realtà, ammette la Meana, lei è un'ibernata. Tutto per giustificare l'uso della chirurgia plastica. Dopo il lungo coccodè dell'aristotelediva prende Iva la parola celebrando il rifacimento del suo naso (che era “importante”, un naso greco...) e illumina: è giusto farlo se si vive male il proprio difetto fisico. Suona il gong e annuncia l'intervento dell'ex ministro. Chi sarà, il divo Claudio (Martelli)? No, si scoprirà in seguito, è solo un ex ministro della destra che fa pubblica ammenda autopubblicizzandosi (pure a questo si arriva per un po' di visbilità, patetico caso di power nostalgia).
Il concetto che viene ribadito da tutti è comunque di notevole profondità. Leggete con attenzione, è un discorso molto complesso: se uno vive male il rapporto con il proprio corpo (naturale) è giusto che si rifaccia. Se lo vive bene è inutile, ovviamente. Noi ci inchiniamo di fronte a tale profluvio di intelligenza; fortunatamente la pubblicità spezza un poco la pesantezza del convegno dei cervelloni e delle cervelloche nel telesalotto della Perego, cui suggeriamo di dare un taglio meno intellettuale al suo programma...ed ecco la Carmen Russo reduce dalla vittoria al reality spagnolo che vola come un uccellino sulle braccia del suo Enzo Paolo Turchi (tanto ormai dopo l'operazione non rischia che gli scendano le emorroidi); poi l'acme thrash: protesi al seno che entrano nella pancia della Di Pietro, coccodé e coccodé, infine la trovata della sapiente regia di levare l'audio. Ho quest'ultima immagine del Malgioglio che sbatte le palpebre mentre un tizio forse cerca un bruscolino...
settimana dal 30 ottobre-5novembre in breve
Grande autopubblicità di Costanzo per la sua ultima fatica letteraria, “Che sarà mai” (?). Il nostro Maurizio si è fatto intervistare sia da Marzullo che da Chiambretti. L'intervista più gradita è stata quella che gli ha fatto Gigi, dove più è emerso l'uomo Costanzo, una volta tanto nel ruolo dell'intervistato e non in quello dell'intervistatore; sembrava una specie di panda (diremmo indifeso se non lo conoscessimo già come mannaro) ma sincero, con le sue malinconie nonostante la raggiunta stabilità sentimentale e le soddisfazioni che gli hanno dato il suo lavoro e anche i figli A Markette era più il personaggio a parlare. Il mammasantissima della televisione italiana ha dichiarato che, per quanto riguarda i tradimenti amorosi, delle belle non ci si deve preoccupare: sono quelle bruttine che tradiscono perché cercano conferme; rivaluta così le soubrettine che ritiene più fedeli delle casalinghe....una vendetta contro un target dal quale forse ritiene di essere stato tradito? Tra l'altro ha manifestato anche il suo sorprendente aspetto gigionesco rifacendo le voci del filippino e del siciliano che usa come segreteria telefonica per sbarazzarsi di interlocutori non graditi
L'intervista comunque più bella di questa settimana è stata quella fatta da Mentana all'onorevole Vladimir Luxuria in Matrix, sulla scia della "polemica dei cessi" in cui è stato coinvolto dalla Gardini. Mise molto sobria, l'onorevole ha ripercorso con il servizio-celebrazione della redazione i suoi primi 40 anni discettando di politica, feste e tanto altro. Dimostra di essere più signora della Gardini, rivela ufficialmente di essere transgender e non transessuale perché l'operazione non l'ha fatta (ma allora she's just a transvestite?). E a proposito dell'omofobia: cosa bisogna pensare del baciamano che l'onorevole ha avuto da Buttiglione, del caffè preso con Fini alla buvette, dell'orchidea con cui l'ha omaggiata, così come ha omaggiato altre signore del Parlamento, un altro deputato di destra? C'era perfida ironia, c'era intenzione di dimostrare che anche a destra si stanno evolvendo o trattavasi di cortesia tout court? E per quelli che ancora sostengono che l'omofobia impera nella televisione italiana, la redazione di Matrix ha cercato di documentare con un servizio ad hoc la non sussistenza di questa argomentazione: dalle sorelle Bandiera fino a Eva Robbins, Maurizia Paradiso, la signora Coriandoli di Ferrini e ancora Leo Gullotta, Mastelloni etc, numerosi sarebbero stati i personaggi
non etero (o non etero-classificabili) che hanno calcato la teleribalta pubblica e privata.
Anche se, a ben vedere, questi personaggi non sono rappresentativi del mondo gay, ma al massimo dell'attitudine al travestitismo che hanno i maschi italiani, non dimentichiamo che molti gay lavorano dietro le quinte della televisione. Quindi a rigore, circa la problematica dell'omofobia, bisognerebbe almeno stabilire due prospettive (dentro lo schermo e dietro lo schermo). In realtà queste macchiette che si sono avvicendate nella nostra televisione non volevano rappresentare specificamente i gay: sono stati dei personaggi satirici di un castigat ridendo mores tutto italiota e conciliando il gusto della trasgressione con l'esasperazione dei tipici difetti femminili, hanno permesso una personale autoliberazione da parte degli interpreti e una divertente critica delle esagerazioni dell'altra metà del cielo. Di fatto, per i gay ha fatto e sta facendo più Chiambretti: pensiamo solo all'ultima puntata di Markette, quando ha presentato come gay-friendly due neovippetti, un vincitore del Grande Fratello e l'altro mercante d'arte, entrambi giovani e molto glamour.
Segnaliamo anche l'intervista della Bignardi alla Parietti e alla principessa Borghese nel programma “Le invasioni barbariche”, oltre all'ospitata del professore Giacobbe (autore di “Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita”)...

Thursday, October 26, 2006

FILM: IL DIAVOLO VESTE PRADA

mercoledi 25 ottobre 2006
Il diavolo veste Prada (The Devil Wears Prada)
regia: David Frankel
cast: Anne Hathaway, Meryl Streep, Adrian Grenier, Stanley Tucci
Commedia romantica con retrogusto drammatico ambientata soprattutto nella New York contemporanea con uno space-cut a Parigi dove l’irruzione fastosa del rosso valentino durante la sfilata che le yankees devono contemplare per motivi professionali diventa la cifra del vero stile, quello italiano, finalmente contestualizzato (in Europa); stile italiano che insieme al gusto francese nell’architettura e nell’arredamento classico rappresentano bene nel film la contromimesi wasp: palese oggetto del desiderio per questi guerrafondai che con il controllo del petrolio hanno raggiunto l’egemonia mondiale, lo stile europeo è la cosa che non possiederanno mai, non potranno mai comprare e non potranno mai conquistare sia che la democrazia la importino sia che la esportino. A proposito: nello spettatore italiano l’apparizione del divino Valentino a questo punto del film suscita un interrogativo: è Valentino che fa la parte di Ballantini o è Ballantini che fa la parte di Valentino?
La trama è scontata: una provincialotta neolaureata e aspirante giornalista, Andy, riesce a diventare assistente di Miranda Pristley (una Meryl Streep che sola poteva conferire alla strega qualche guizzo di umanità che la rende vera e non una sorta di incarnazione in manager di un’arpia che nemmeno nel giardino delle Esperidi…), capo prestigioso e insopportabile della rivista di moda Runaway, arbiter elegantiae del gusto globale.
Ovviamente secondo il cliché della favoletta urbana la provinciale verrà corrotta dal mondo fatuo della moda, assimilerà i ritmi frenetici e lo style life dei personaggi che popolano l’ambiente, ma non perderà completamente la sua purezza perché in un anno circa, dopo aver perso anche il boyfriend, in un momento di resipiscenza si renderà conto che sono altre le cose che contano nella vita, che l’essere vince sull’apparire e bla bla bla. Scontatissimo quindi il mid happy end [giacché nulla è più come prima e l’esperienza costituirà per Andy (l’aspirante giornalista) un capitolo importante del suo romanzo di formazione] che stempera con un tocco di malinconia il contrasto inconciliabile tra i due mondi, quello del jet set e quello della classe media.
Il plot quindi è consono al contenuto del prodotto: l’effimero (o il nulla, a essere cattivi ma anche ideologizzati). E tuttavia questo nulla in qualche modo influenza direttamente o indirettamente il nostro quotidiano ed esprime anche il mood dell’epoca che viviamo, giacché il sistema moda è anche questo, come Miranda spiega alla neoassunta in una memorabile scena che racchiude l’essenza del film: ad Andy, che è alle prime armi e che oltretutto non sa vestire, scappa una risata assistendo a un momento di crisi determinato dall’incertezza nello scegliere due modelli di cinture da lanciare, che a lei appaiono identici: Miranda, con sprezzo di acida regina, le spiega che persino il colore del maglioncino che la neoassunta indossa in quel momento è una conseguenza delle scelte del sistema moda, e per di più di terza o quarta mano, nel suo caso specifico. Miranda però è una vera megera, la tipica persona che vive nel lusso più lussuoso (ogni mattina allorquando entra in ufficio è una sfilata che si conclude nell’utilizzo della sua assistente come guardaroba umano e anti-stress privilegiato) ma fondamentalmente senza stile. Eppure lo stile è l’uomo ( e in questo caso dovrebbe essere la donna), ma immaginiamo che Miranda non abbia avuto il tempo di leggere Stendhal tutta presa dal rampantismo sociale che l’ha portata ai vertici. Una Jackie Onassis, una lady D, una Susanna Agnelli nostrana, non trattavano la loro servitù dandole costantemente la consapevolezza di essere quello che era. Certamente una signora vera non si comporta come Miranda, persino nella borghesia che non è gentry e magari poco più di classe media. E qui cerchiamo di esercitare uno sguardo obliquo sul film, per scorgerne le mancanze: sicuramente esso fallisce in una rappresentazione a tutto tondo del mondo della moda, perché ce ne mostra solo il coté più nevrotico e appariscente, senza nemmeno un cenno, per esempio, alla delocalizzazzione e alla produzione delle industrie del settore nel demi monde (oggi il terzo mondo è fuori moda persino come concetto politico…) con tutta la sofferenza e il costo umano che essa comporta. Forse è per questo che in buona sostanza Miranda rischia di diventare da personaggio una sterile caricatura: non si capisce infatti, come mai una donna ricca, potente, che riveste un ruolo sociale invidiabile, che la colma di gratificazioni oltre che di stress dalla mattina alla sera, debba svegliarsi tutte le sacrosante mattine con la luna storta…
Anyway,il gioco della dialettica servo-padrone porterà Andy ad assimilare molto da Miranda, ma quando abbandonerà la janara in confezione de luxe alle luci sfavillanti della sua corte dimostrerà in fondo di avere più gusto di lei.
Dobbiamo aspettare un po’ prima di vedere il marito della strega, che è anche madre di due gemelline ben avviate lungo la strada della perfidia e che rischieranno di far licenziare la povera assistente quando questa , allorché entra nella splendida magione della super-direttrice, viene da loro invitata a depositare il book nelle stanze superiori, invadendo suo malgrado la privacy.
E ovviamente il marito di Miranda non poteva non deludere le aspettative: un essere insignificante che compare in mezza scena e che sembra costituire solo l’alter ego della direttrice nei suoi momenti di crisi. In questo mondo fondamentalmente matriarcale, dove tutte le assistenti subiscono il carisma velenoso di Miranda, dove l’umore è determinato dal modo in cui ci si veste, dove la scelta di un paio di scarpe può stabilire se la giornata sarà un inferno o un purgatorio (un paradiso mai), le figure maschili sono pressoché assenti, tranne quella del gay, l’art director Nigel interpretato con stile da Stanley Tucci, che dà i consigli giusti a
Andy permettendole di entrare nelle grazie dell’arcigna capessa.
Una battuta memorabile: quella della precedente assistente di Miranda, Emily (che alla fine riprenderà il suo posto nelle grazie di Miranda) rivolta a Andy a proposito dell’alimentazione: “Tu mangi carboidrati!” (il limite che impedisce ad Andy di assumere la taglia perfetta per indossare i capi fashion). Speriamo non diventi un nuovo comandamento negativo, quello di non mangiare carboidrati…se gli italiani perdessero il gusto persino nel cibo presumiamo che lo perderebbero anche in altri settori molto più importanti …
Al di là delle facili letture in spirito puritano per gli autoctoni (la purezza americana contro la corruzione europea che qui si esprime nella tradizionale contrapposizione: valori (veri) autoctoni/lusso europeo; la moda è importante ma non bisogna diventare fashion victim altrimenti si rischia di vendere l’anima al diavolo e via banalizzando) il film, di fatto, è piacevole alla vista. Per chi abbia un minimo interesse per il mondo della moda (e un gay non può non averlo) il film è un tripudio di colori, di forme, di stili nel vestire. Risulta però così troppo patinato: un film da gustare nelle scenografie e nei dialoghi (che varrebbe la pena di ascoltare in lingua originale), ma in buona sostanza privo di contenuto. Rischiando di cortocircuitare il messaggio stesso che nelle intenzione sembrava si fosse assunto di mandare: ovvero la moda, lungi dall’essere un qualcosa di cui bisogna tener conto anche in una prospettiva culturale in realtà è un mondo vacuo di forme e colori che autoalimenta sé stesso e fondamentalmente autorefenziale.
CREDITS
Il film si ispira al best seller di Lauren Weisberger, di cui copia anche il titolo e che a sua volta è imperniato sulla vicenda autobiografica della scrittrice che fu assistente di Anne Wintour in Vogue America. Il regista David Frankel è noto anche per aver girato alcuni episodi della serie Sex & City. La colonna sonora è gradevole e appropriata, infarcita di numerosi successi di Madonna e di Bono Vox degli U2.

Monday, October 23, 2006

L'AMMIRAGLIA RINNOVA LA GLORIOSA DIVISA: MAGICO WEEK END BEGIN NEL PALINSESTO DI RAI 1

domenica/lunedì 22/23 ottobre 2006


Bella intervista post-prandiale dell’Annunziata a Romiti su Rai 3 (In ½ H, ore 14.30) sulla scia di quella fatta a Briatore domenica scorsa. Ecco un esempio di televisione intelligente e non superficiale con cui è possibile arricchire la solita domenica dell’effimero e degli schiacciapensieri per housewivers poco disperate e gentili consorti pennichellanti. Si discute di banche, telecom, tfr, mentre le mani del piccolo vegliardo (è ancora 70enne) danzano lievemente nell’aria la rugosità del potere vero, che ha sempre qualcosa di arboreo, ricorda in qualche modo la corteccia di una quercia. Al centro dell’agenda dell’impertinente, antipatica (com’ è giusto che sia) e sempre femmina Lucia Annunziata è il riassetto del capitalismo italiano (adoro quando il lessico marxista osa ancora fare capolino nella politica italiana, con la sua political uncorrectness). Ovvero: chi comanda oggi in Italia? Non abbiamo capito se sia Bazoli, capo di questa nuova megabanca italianissima, ad essere più potente di Romiti o viceversa, ma sono dettagli. Si capiscono la storia e la cronaca italiana solo se teniamo sempre davanti agli occhi la massima del principe di Metternich: l’Italia è un’espressione geografica; come in un demi-monde qualsiasi comanda l’alta borghesia corrotta dagli stranieri di ceppo celtico, in più noi abbiamo il valore aggiunto (o tolto a seconda delle prospettive) di Santa Romana Chiesa…
Sottotesto l’intervista dipana uno scontro socio-gender tra Romiti, il potente borghese espressione di una società maschilista patriarcale e nordica; e l’Annunziata, la donna radical-chic, anch’essa potente, post-femminista e post-comunista, e in più sudica, che non dimentica mai il colore del suo cuore. In questo sottotesto le mani, la voce, la calata di Cesare rappresentano il nome del Padre, mentre Lucia Annunziata è la figlia discola che cerca di arrampicarsi pazientemente sull’albero che ha salde radici nel parco di famiglia rischiando di farsi male, ma lasciando i segni delle sue unghiette sulla corteccia rugosa.
Ma il grande week end begin (ovvero lo spazio del palinsesto che comprende le ultime ore di un giorno e le prime ore del successivo, il cui baricentro è la mezzanotte) su Rai1 è nella notte tra domenica e lunedì.
Sorvolando su “Capri”(Rai 1, 21.15 regia di E. Oldoini) di cui abbiamo seguito solo gli sprazzi sufficienti a percepire il mood gay-eye winkly molto sobrio della Ammiraglia (l’ambientazione circumnapoletana era un must per questo scopo, e dobbiamo sperare o no che questo gay-eye winkly per quanto sobrio rientri tra i sintomi dell’evoluzione della mentalità catto-comunista italiota?) la serata vera si apre con la lunga intervista a Gianna Nannini, straordinario ritratto di rock-star e di donna italiana post-moderna. Location spacciosa quella dell’aereoporto, con le turiste inglesi frettille che fanno le loro acide smorfie mentre gli operatori effettuano le riprese sul tapis-roulant impedendo loro di passare. Gustosissimo l’understatement istintivo di Gianna tutta witch, che si appresta a diventare forse la più grande icona gay italiana (è ancora giovane, dopotutto e continua a sorprendere). Piccoli deragliamenti vocalici, doppi e tripli sensi naturali costruiscono sottotesti i quali arricchiscono un’esperienza che non può essere ridotta nei limiti banali della classica intervista. Gianna parla, canta, sorride, ammicca, fa le linguacce, si racconta; vita, arte e sofferenza si mescolano in un ulteriore tranche de vie in forma di dialogo di questa nomade meta-gender. Crediamo che in un contesto fondamentalmente omofobico e patriarcale qual è quello della cultura italiana, triplamente territorializzata dall’imperium catto-comunista, da quello francese e da quello angloamericano (Risi dirà più tardi a Marzullo che la nostra critica cinematografica è sempre gregaria dei cugini d’oltralpe, vendicandosi del non adeguato riconoscimento iniziale del suo “I soliti ignoti” che fu scoperto dai francesi) il contributo che ha dato Gianna alla musica leggera e soprattutto al costume italiano sia stato riconosciuto con molto ritardo, e forse questa intervista è il sintomo di una rielaborazione della meccanica desiderante nel mondo dello spettacolo italiano, senz’altro di una sua modernizzazione. Questa ragazza ha girato un video con Antonioni e le sue canzoni trasgressive con le fughe in avanti rispetto alla società contemporanea (la trasgressione sposta sempre più avanti il limite del socius) riascoltate dopo anni non perdono la loro freschezza. Gianna è una Janis Joplin italiana, e non solo perché improvvisa in un aeroporto “Mercedes benz” della grande Pearl senza accompagnamento (altro che lounge) ma perché del rock interpreta l’essenza, con la sua voce roca, il senso bacchico del ritmo, la melodia tutta italiana venata sempre di un po’ di blues e i suoi testi che farebbero non arrossire ma morire di vergogna le mamme di cui parlava Eco a proposito di Pitigrilli. Inni alla manostuprazione femminile, il gender preso in giro come concetto, il maschile e il femminile che si riuniscono in un’utopia che per adesso è solo quella dell’arte leggera e si dividono nuovamente in derive inconciliabili. E poi una che ha l’idea di mettere sulla copertina di un suo disco la statua della libertà con un vibratore in mano…sfottò dell’America guerrafondaia e delle sue ridicole e ipocrite icone ancora attualissimo e allo stesso tempo rivendicazione dell’altro godimento, il godimento femminile non finalizzato alla procreazione il quale non può essere definito onanistico come quello maschile perché non implica lo spargimento del seme, ma il sostituto del fallo con un simulacro di plastica. Il pacifismo di matrice cristiana (anche quando è di sinistra) si fonde con il concetto di libertà del corpo femminile, che diventa il corpo della strega, in una faglia beante dalla quale prepotente emerge la voce della Nannini che grida l’America della quale siamo sudditi ribelli. La musica genuinamente italiana ha sempre un suo coté popolare e popolaresco e Gianna ce lo conferma raccontandoci dei suoi esordi, del rapporto fondamentale che ha avuto con le zie e in particolare con Renato Zero (esempio di famiglia allargata post-moderna in anticipo sui tempi?) e con le sua zie che pure ha fortissime radici popolari nel suo genoma d’artista. Ma la bellezza di questa intervista, che è senz’altro un pezzo di storia della televisione italiana, è stato il fatto che ha lasciato trasparire il rapporto tra creatività artistica e follia, tra psicosi e sublimazione artistica, bucando davvero lo schermo. Il “buco nero” di Gianna in una fantatopologia tipica del medium buca davvero lo schermo: è il buco della sua arte, la faglia beante che al prezzo terribile del delirio permette la trasformazione del proprio vissuto in un qualcosa godibile dall’altro da sé…e se questa non è arte! Non sarà grande arte per i classicisti (Dino Risi con la civetteria del Grande Vecchio dirà più tardi che in fondo il cinema è artigianato rispetto alla letteratura, alla danza, all’architettura etc.) ma per noi postmoderni che ci siamo liberati dalla dipendenza dalle Grandi Narrazioni lo è e non importa se e quanto durerà nella storia, è sufficiente che sia viva nello spazio della nostra memoria.
Un giorno le canzoni italiane saranno il reservoir della poesia italiana contemporanea, e non parlo di quelle dei cantautori che già compaiono nelle antologie…
Che notte questa notte dell’Ammiraglia…la vecchia signora si mette i guanti e recupera dai cassetti polverosi i suoi preziosi camei, regalandoci quasi gratis una televisione che Berlusconi non potrà mai vendere, nemmeno con i saldi. Clip e spezzoni di filmati televisivi e cinematografici si rimandano l’uno all’altro, cronaca, costume e storia dell’effimero si fondono in un tutt’unico (tra parentesi vorremmo indire un censimento sulle streghe in Italia, ovvero quelle donne indipendenti, di successo e con il pelo sulle ovaie che fanno il loro bello e cattivo tempo nella società dello spettacolo…ieri sono andate in visibilità diverse esponenti di questa lobby(?), come a traino della Nannini). Storia della televisione resteranno i duetti della senese con Fiorello che deve rincorrerla per lo studio più pazza di lui, il duetto con Celentano molto nazional-popolare, come resterà il videoclip girato da Antonioni per una sua canzone. Probabilmente la terrotorializzazione teutonica (la rock singer ha interpretato anche Brecht, si è visto pure questo) ha salvato Gianna Nannini dalla deriva anglofila, insieme alle sue radici popolari.
Dopo l’intervista alla Nannini, la trasmissione di Marzullo sul cinema con grande presenza di film italiani. Roma si appresta a sostituire Venezia come location degli eventi cinematografici e del loro indotto sulla piazza italiana, grazie alla sua genuinità people –friendly e alle sue attitudini mediterranee, rispetto alla spocchiosa e in fondo troppo territorializzata Venezia. Belle le piccole clip su Tornatore che parla de “La sconosciuta” e su Marcoré il quale stasera e domani interpreterà nientepopodimeno che un papa (Paolo VI) e che parla del suo personaggio e del proprio rapporto con la religione cattolica lanciando sguardi demonici che giustificheranno l’invettiva di Dino Risi più tardi: gli attori hanno qualcosa di luciferino, dirà il Grande Vecchio, ricordandoci che un tempo non potevano essere sepolti in città…Marcorè si appresta a diventare un attore importante, soprattutto se nel suo processo di laicizzazione non estirperà completamente le sue radici cristiano-mediterranee ma le nutrirà di nuova linfa. E a proposito: che vergogna che sia stata la Spagna di Zapatero ha creare questo film sui Borgia e sul papa “corrotto” che espresse la loro famiglia nel Rinascimento, Alessandro VI, (Los Borgia, interpretato da Luis Homar l’attore de “La mala educacion di Almodovar) che dovrebbe arrivare qui in primavera: rubano la nostra storia ricca di spunti per opere d’arte o di artigianato, e ce la vendono pure: siamo forse destinati ad essere territorializzati nel cinema anche dagli Iberici, dopo la grande territorializzazione americana?)
E passiamo ora decisamente alla lunga intervista che il grande Dino Risi ha concesso a Gigi Marzullo (“Così è la mia vita…sottovoce”, ore 2.20); l’ ultranovantenne lucidissimo con gli occhi di un bambino, può permettersi di esporre il proprio simulacro di fascista impenitente e guerrafondaio col sorriso sulle labbra, librandosi in volo come una colomba sugli scontri viperini che hanno contrapposto giorni fa una Mussolini a uno Sgarbi. Più di 60 film che costituiscono la sua vera famiglia, uomo affascinantissimo nonostante l’età avnzatissima, egli ci appare come il Maschio sublime, che al di là dell’anagrafe impone il suo gender come un’icona di segno contrario ma ugualmente affascinante. Smilzo come un anacoreta, la bellezza della sua facies sempre più scarnificata è tutta in quegli occhi straordinari, in quegli occhi veramente da infante (la Nannini non a caso aveva detto che dopo la sua rinascita ha dovuto reimparare a camminare e muoversi gattoni come fanno i bimbi) che sono il segno della sua specialità e uno dei segreti, forse il più importante, della sua lunga vita. E qui, cosa straordinaria, non stiamo parlando del solito longevo semianalfabeta, ma di un Maestro che ha fatto la storia del cinema. Gigi estasiato dal carisma del grande vegliardo confessa di invidiarlo, sembra che non sieda su una sedia ma su un divano, tanta è l’inclinazione del suo corpo che si piega come un giunco di fronte al vento che spira da questa vetusta macchina desiderante ancora funzionante, da quest’uomo straordinario, quasi fosse un bambino che aspetti il Padre che gli racconti l’ultima favola prima di addormentarsi. Dino Risi ha la capacità (e se non l’ha lui) di stanare l’ingenuità snobistica del giornalista, affascinandoci persino quando parla delle velleità colionalistiche dell’Italia di Mussolini. Un Maestro e soprattutto un grande Italiano, sul cui corpo ascetico le territorializzazzioni scivolano via senza attecchire. E’ questa la televisione che ci piace, ma sfortunatamente siano costretti ad auspicare criticamente un riassetto del palinsesto perché non è giusto e non è comodo che programmi simili costringano a veglie notturne, ora che l’evoluzione dei supporti e le trasmissioni satellitari rendono sempre più difficili le registrazioni. Questa è grande televisione, questi sono i grandi italiani e le grandi italiane Ci piacerebbe che Rai 1 dedicasse interviste di questo genere anche a personaggi del mondo della moda, come Armani, Valentino, e in particolare Dolce & Gabbana (i due siciliani amici d’infanzia e gay che hanno conquistato il mondo) e a tutti coloro che hanno fatto grande il nome del nostro paese all’estero, che ha conservato un suo specifico ormai solo nello stile (il che non è poco: ma per un paese delle nostre tradizioni è una nuova arte che dovrebbe imporsi a livello mondiale, e non un suo derivato, al di là di ogni facile celebrazione dell’apporto che ha dato e dà il comparto moda alla nostra economia, per altro riconosciuto da congrue gratificazioni) La notte magica di Rai1 non è finita con questa splendida intervista ma è continuata con la trasmissione di un film inglese divertente e sofisticato, la cui tematica è il conflitto inter-gender in rapporto all’ istituzione del matrimonio in una New York schizofrenica della metà degli anni 60 dove i conflitti di genere, quelli razziali e quelli di classe vengono trattati con una leggerezza forse per qualcuno insostenibile ideologicamente, ma davvero piacevole allo sguardo.
Si tratta di “Come uccidere vostra moglie” (USA, commedia, 1965) con un Jack Lemmon all’apice della sua virilità e una Virna Lisi la cui prorompente italianità va sopra le righe del parlato neogreco cui la costringe la parte. Il newyorkese ricco, servito e riverito il cui hobby è disegnare fumetti che lui stesso interpreta per primo nella realtà, sposa in stato di ubriachezza un’oriunda greca. Dopo aver perso per questo il suo cameriere e aver subito una serie di vicissitudini conseguenze di un matrimonio che lucido non avrebbe mai contratto, decide di sbarazzarsene servendosi di un’impastatrice di cemento che adoperano gli edili nei pressi della sua magione. Spaccato pungente dell’alta società new yorkese e dei rapporti tra due sessi, restano memorabili l’entrata della Lisi nel club per soli uomini allo scopo di recuperare il marito e la scena del processo in cui Lemmon, imputato dell’omicidio della moglie di origini greche si trasforma in pubblico ministero convincendo l’avvocato e la giuria dell’opportunità di lasciar scomparire le proprie mogli premendo un metaforico pulsante. Molto gay-eye winkly, conclude degnamente e a tono la notte di Rai 1, che si appresta finalmente ad esprimere su linee più avanzate il cambiamento dei costumi nella società italiana nell’epoca della globalizzazzione, come una madre saggia e costumata che accompagna i suoi figli in una passeggiata urbana sempre più lontana dall’ombra della chiesa certa che ormai questa sia stata sufficientemente introiettata nel loro genoma (oltre alla tv e ai film gay-eye winkly, ovvero quegli spettacoli che sublimano l’apertura verso il gusto omofilico, con tutte queste scene di maschile tendresse sempre triangolate in un Edipo funzionante e servile agli interessi borghesi, vi è anche un’emergenza sempre più evidente del gender femminile, e una Nannini parlando dei suoi aborti, osa enunciare nella notte di streghe di questa straordinaria Rai 1, che lei li definisce i suoi “nannini” e non i suoi “bambini” (mai nati). La tradizionale casalinga rassegnata italiota verrà scalzata da queste terribili witch, o una rivoluzione del gusto patriarcale forcodificherà questa nuove figure di donne in un gender a parte? E quale sarà l’evoluzione della chiesa in tutto questo? All’attivismo dei gblt l’ardua sentenza. Senza dimenticare che oggi lo spettacolo è politica e la politica è spettacolo e la meccanica desiderante controlla il corpo, e quindi fa bio-politica, controllando innanzitutto il desiderio.

Monday, March 27, 2006

TV/AMICI/ULTIMA PUNTATA

Domenica 26 Marzo 2006
Grande televisione questa notte su canale 5 ad Amici; puntata conclusiva del reality che un giornalista si è sbilanciato a definire “televisione etica” ma che certamente è di una classe differente rispetto ai varii grandi fratelli, isole e fattorie. Non per la retorica cara a qualcuno e vagamente nazi (molto Riefensthal e anche anagraficamente discriminatoria) del trionfo della gioventù (cui tutto si deve perdonare altrimenti si è vecchi) Ma per il meccanismo che premia lo sforzo anche nel mondo fatuo dello spettacolo e che mostra e divulga il sudore all’origine del successo. Per l’interazione sapiente tra queste biografie fresche e minime dei partecipanti e l’esigenza dello share per un medium che vive di pubblicità. Per la ultramoderna intuizione del conflitto di genere come perno sul quale costruire l’impianto narrativo del programma. E che importa della perfetta (e quindi poco credibile) coincidenza dell’impennata melodica del motivo celebrante il trionfo con l’ennesimo volo di Maria de Filippi tra le braccia di Ivan, il vincitore. Ciò che più ha emozionato sono state le lacrime di Andrea, arrivato secondo pur meritando di arrivar primo anche lui. Lacrime difficili da simulare, lacrime in cui c’era delusione, rassegnazione, accettazione, amicizia, maturità: in quei pochi minuti prima del responso finale c’era tutto il pathos sublime della trasformazione in diretta di un ragazzo in uomo, il miracolo sempre commovente di un nuovo fiore che sboccia illuminando la primavera. La verità di Andrea, per chi ha seguito un po’ la sua storia all’interno della trasmissione, ha bucato la forma reality: sono quei rari momenti in cui il medium, per un momento, riesce ad andare al di là di se stesso. Per il resto è stato già detto tutto: il coraggio e l’impegno di Ivan, Maria sempre più mamma catodica della meglio neogioventù italiana, etc etc.